Standardizzazione: cui prodest?


Siamo nel 2011, ma a giudicare da alcuni avvenimenti sembra proprio che qualche entità, anche di grosse dimensioni sia rimasta negli anni ’40… del secolo scorso.
Mi riferisco in particolare alla recente vicenda che ha contrapposto il veterano del caffè in Italia, l’azienda Vergnano, al colosso alimentare elvetico Nestlè.
Per riassumere molto brevemente la vicenda, pochi giorni fa il produttore italiano ha lanciato una linea di cialde monodose per caffè compatibili con il sistema Nespresso (What else?).
La pubblicità recita così:

E’ arrivato.
E’ italiano.
E’ al supermercato.
Èspresso le capsule sono compatibili con le macchine da caffè Nespresso

Il mercato delle cialde monouso al momento rappresenta poco più del 3% del consumo di caffè in italia, ma l’azienda Vergnano ha deciso di buttarsi in questo mercato visto i tassi di crescita di questo – solo per ora – piccolo mercato. Con intelligenza, l’azienda italiana ha deciso di non reinventare la ruota e di non sfidare il gigante – come ha fatto Lavazza – inventandosi la ruota daccapo, ma si attaccata invece al carro dei vincitori, quelli che a colpi di boutiques e spot milionari (girati a Milano, ma  con cast Hollywodiani) dominano il mercato del caffè “semplice da fare”.

Intelligenza, dicevamo, o forse italiana furbizia.
Infatti Nestlè non ha esitato nel farsi sentire e minacciare azioni legali contro chi ha avuto la pessima idea di voler sfruttare le sue macchine per fare affari.
Non sia mai!
Alzi la mano chi, tra i lettori, non ha vaghe riminiscenza di questa vicenda.
Nel mondo dell’informatica l’abbiamo visto centinaia di volte, a tutti i livelli: chi si inventa qualcosa lo vuole tenere per sé e non darlo a nessuno.

Dobbiamo ricordare una azienda che negli anni ’80 introdusse una cosa elettronica fatta di componenti hardware e software compatibili che tutti potevano integrare e/o copiare?
Mi sembra che si chiamasse IBM e si contrapponeva a un altra che invece aveva tutto chiuso e riservato, questa si chiamava Apple Computer.
Se non ricordo male, la prima ha creato un ecosistema che negli anni si è ingigantito, ha rivoluzionato il mondo, ha dato una passione e un lavoro a molti di noi, ci ha reso una civiltà migliore.
Fa niente se alla fine quel settore non ce l’ha più avuto: ne ha beneficiato e continua a beneficiarne comunque, magari indirettamente.
La seconda azienda ha dovuto perdere il “Computer” e inventarsi altro per prosperare.

Ricordiamo anche un’altra azienda che faceva dei formati chiusi e proprietari il proprio cavallo di battaglia. contrapposta questa volta a una concorrente che proponeva un modello collaborativo e lo sviluppo di uno standard diverso, parzialmente aperto.
La Microsoft con Office e Sun (insieme alla comunità di sviluppatori) con OpenOffice.org si sono sfidati, fortunatamente, solo per pochi anni. Alla fine entrambe di sono recate a Canossa, dopodiché sono passate all’ISO per espiare i propri peccati.
Risultato?
Ora non è più una utopia avere due prodotti di office automation diversi per produttore, piattaforma e addirittutra filosofia che si parlano e si scambiano dati tra di loro.

Alla Nestlè pare che negli ultimi anni nessuno abbia letto i giornali. Infatti non serviva inventiva, originalità o che altro, solo informazione. Avendo saputo che una altra azienda stava sviluppando qualcosa di compatibile con il proprio sistema, sarebbe bastato che qualcuno si rendesse conto del potenziale nascosto.
Sarebbe infatti stato logico pensare di pubblicare una serie di standard per il sistema a capsule e farlo formalizzare dall’ISO o da qualche altro ente: si sarebbe creato – di nuovo – un ecosistema a livello planetario dove tutti avrebbero potuto concorrere producendo macchine o cialde o accessori compatibili e in concorrenza.
No, è meglio pensare a una causa lunga e costosa. Con l’effetto collaterale, ne sono sicuro, che alla fine qualcuno il “sistema standard” se lo inventerà e lo commercializzarà.
D’altra parte, il filosofo Santayana scriveva già più di un secolo fa «Those who cannot remember the past are condemned to repeat it».

Per inciso, concludo ricordando che il produttore italiano ha inventata delle cialde completamente biodegradabili in meno di tre anni, contro quelle metalliche e virtualmente indistruttibili del produttore elvetico. Il prezzo delle dosi italiane, inoltre, è di poco inferiore a quelle dell’inventore, inoltre la distribuzione copre non solo gioiellieri del caffè, ma anche il supermercato sotto casa dove la maggior parte di noi va con regolarità e soddisfazione.
La Nestlè però, per il momento, offre una gamma di gusti molto superiore. Questo è l’unico svantaggio del concorrente rispetto all’originale.

Sarà forse che anche gli Italiani riescono in qualcosa, quando ci si mettono?

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7 risposte a “Standardizzazione: cui prodest?”

  1. La cosa non è una novità, in Svizzera e (mi pare) in Francia da parecchio tempo vanno avanti con battaglie legali e ricorsi vari. In Svizzera una ditta (e la catena di supermercati che ne distribuisce le cialde) ha dovuto sospendere produzione e distribuzione in attesa della decisione del tribunale, inizialmente aveva avuto successo, poi il ricorso che ha sospeso di nuovo, e di una decina di giorni fa ancora la rimessa in commercio, mentre si sa che a breve il tribunale di San Gallo dovrebbe prendere di nuovo la decisione. E non si sa come andrà.

    Ma tanto sappiamo benissimo tutti come andrà a finire: sempre più ditte vorranno produrre capsule, quindi o Nestlè si piega e consente l’utilizzo su licenza se non addirittura la standardizzazione, oppure finirà nel dimenticatoio (o peggio, nell’elenco di aziende sconfitte con vergogna, cosa che meriterebbe).

    Per inciso, le capsule “non ufficiali” che hanno in svizzera sono di 4 tipi e costano 25cent l’una (0.20€).

    Qui potete vedere una puntata di “Patti Chiari” (stile Mi manda Raitre) dedicata dal primo canale della tv svizzera:
    http://www.rsi.ch/pattichiari/node/2213

    Qualche tempo dopo fecero un altro servizio sulla degustazione di questi caffè fatta da alcuni esperti. Purtroppo non lo trovo, ma a quanto ricordo il risultato fu abbastanza buono, con le cialde Nespresso che ottenevano quasi identici a quelli dei concorrenti, facendo restare l’unico vantaggio della Nestlè la varietà di scelta.

  2. Il problema è che tante persone di questi aspetti se ne curano troppo poco, accettando la mediocrità, e magari credendo pure che le alternative non ci siano.

    Sempre parlando dell’azienda informatica cui prima, che si è dovuta inventare altro per risollevarsi, è sufficiente vedere l’esplosione della moda dei suoi prodotti più recenti: non mancano realizzazioni hardware e software simili che a fronte di costi inferiori garantiscono anche più liberta all’utente, ma all’utente medio interessano più quell’estetica sulla quale in effetti primeggia e lo status symbol che avere un tale prodotto porta.

    Io faccio la mia parte cercando di proporre se ne ho l’occasione, ma tanti sono “tech victim” (prendendo in prestito dalla forma “fashion victim”) e seguono canoni che sono diversi da quelli della funzionalità e dell’efficienza.

    Senza nulla togliere ad una casa che è riuscita a fare grandi cose in questi ultimi anni, sicuramente ha messo sul mercato prodotti molto buoni, ma dire che sono “il meglio” quando un “migliore” assoluto (cioè uniformemente su tutte le caratteristiche) non esiste fa vedere che c’è ancora molto da lavorare su questo tipo di mentalità.

  3. In Francia ci sono gia’ da un po’ le cialde compatibili Nespresso ricaricabili, nel senso ceh ti vengono vendute solo le cialde e tu gli ficchi dentro il caffe’ che vuoi. Dei colleghi rancesi mi hanno detto se ne volevo, ma per tornare allo sabttimento di comperare il caffe’ macinamto, lasciarlo aperto e fargli perdere l’aroma tanto vale usare la moka o la macchinetta normale.

    Per l’indistruttibilita’ delle capsule va detto che in Svizzera in ogni centro commerciale c’e’ un punto di raccolta delle cialde Nespresso in cui si possono conferire le capsule usate. Nespresso si incarica di compostare il caffe’ e riutilizzare l’alluminio. Dettagli qui: http://www.nespresso.com/ch/it/pages/services-recycling

    Sull’opportunita’ di avere un o standard (come ad esempio anche il PDF) che crea un ecosistema non c’e’ alcun dubbio. Dovrebbe essere, anzi, quasi automatico, come per i farmaci (ma con tempi diversi). Uno che crea uno “standard” per un po’ deve poterne trarre beneficio per ripagarsi l’investimento (se non fai cosi’ non investe piu’ nessuno), poi toppa liberi tutti per creare un ecosistema e un indotto.

  4. Luigi Rosa :
    Uno che crea uno “standard” per un po’ deve poterne trarre beneficio per ripagarsi l’investimento (se non fai cosi’ non investe piu’ nessuno), poi toppa liberi tutti per creare un ecosistema e un indotto.

    Questo discorso mi ricorda un po’ quanto accaduto con le autostrade.
    I privati, su concessione, hanno realizzato delle autovie che generalmente per l’epoca erano qualcosa di innovativo; dalle vie in aperta campagna come la Torino-Milano degli anni ’30 si è arrivati alle autostrade su percorsi ben più difficili come la Torino-Bardonecchia negli anni ’90.
    Per 30 anni ne avrebbero dovuto avere gli introiti per ripagarsi l’investimento e per prendersi il giusto guadagno, dopodiché le autostrade sarebbero dovute ritornare all’ANAS che le avrebbe amministrate ordinariamente e senza costi per gli utenti.
    Tuttavia questo non è mai accaduto, le concessioni sono state rinnovate di volta in volta e i privati continuano ad imporre il proprio pedaggio sulla maggioranza della rete autostradale.
    Qui vedo un parallelo, nel senso che, anche se l’idea iniziale è quella di permettere vantaggi “proprietari” per un certo periodo di tempo, per poi rendere libero, qualche pretesto (miglioramenti, esattamente come per le autostrade si parla di messa in sicurezza, adattamenti, etc.) per continuare a guadagnarci esclusivamente lo potrebbero trovare.

    • L’ANAS i soldi per la manutenzione deve pur prenderli da qualche parte (tasse).
      Inoltre lo stato incassa una concessione, cosa che fa decadere l’analogia. Qui quale ente pubblico incassa la concessione?

      • A maggior ragione. Nel caso delle autostrade il privato deve comunque pagare una concessione allo Stato ma ciononostante gli conviene mantenere il controllo sulle infrastrutture, figurarsi nel caso della Nespresso dove per mantenere i propri privilegi o comunque ciò che al momento gli sembra convenire di più (non sul lungo termine e non in un’ottica più estesa) si deve soltanto pagare, al limite, un ufficio brevetti e una tutela legale.

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