Il “registro”


L’altro giorno mi è capitato tra le pagine del browser un post che tratta di un argomento piuttosto scottante per chi, come me, vive nel mondo dell’informatica: in Malesia si sta valutando una legge per creare un “registro” federale al quale ci si deve iscrivere per poter offrire qualsivoglia tipo di “servizio informatico”.

La creazione di un “ordine degli informatici” è, spesso, argomento di conversazione tra addetti ai lavori quando ci si trova dinnanzi a dei veri e propri disastri tecnologici o a situazioni dove ignoranza nel campo e assenza di professionalità regnano sovrane.
Quante volte, infatti, ci siamo dovuti fermare perchè qualcosa di informatico non stava funzionando (esempio) o funzionava secondo una logica difficile da comprendere (esempio)… chiedendoci il perchè si permette a chiunque di fare qualcosa che dovrebbe essere fatto solo da chi è in grado di farlo?

La proposta di legge malese creerebbe un registro, sotto controllo indiretto del governo, diviso in due livelli: un primo livello per tutti coloro che non hanno una laurea in informatica ed un secondo livello per chi, al contrario, la laurea ce l’ha. Solo a quest’ultimi sarà concesso di offire servizi o lavorare nelle aree definite dalle linee guida del CNII. Non solo… ma l’area di specializzazione deve essere definita a priori in modo tale da limitare il lavoro o i servizi a quella specifica area. E le aree sottoposte a questo tipo di controllo sono quelle della difesa e della sicurezza, del mondo bancario e finanziario, dell’informazione e della comunicazione, dei servizi (acqua, trasporti, energia), della salute (includendo cibo e agricoltura) e, ovviamente tutto ciò che ha a che vedere con il governo.
Chiunque lavori nell’ambito informatico senza essere iscritto a questo registro sarebbe quindi un fuorilegge a tutti gli effetti perchè farebbe qualcosa di illegale e, come fa notare l’autore del post, per un malese “diventerebbe tecnicamente illegale anche inviare un’email ad un altro malese con una possibile idea per un nuovo progetto. Sarebbe pure contro la legge abbozzare su un tovagliolo una idea per una nuova applicazione sorseggiando un caffè con qualcuno“. Ovviamente ci sarà una tassa da pagare per l’iscrizione e, sicuramente, ci sarà un nuovo livello burocratico che dovrebbe avere il ruolo di certificatore di chi si iscrive a questo registro.

Ma cosa c’è alla base di tutto? Il dilagare dei programmatori dell’ultim’ora o la paura di attacchi informatici? E cosa li fa pensare che questo tipo di intervento possa risolvere questi problemi? Sembra, ancora una volta, il focalizzare l’attenzione sul dito piuttosto che rivolgersi verso la luna. Non è certo creando un ordine che si risolvono i problemi della qualità dei servizi. L’unica soluzione è sopperire alla mancanza di un certo tipo di cultura.
L’informatica è innovazione, è idee. Una legge pensata in questo modo non farebbe altro che limitare in maniera pesante entrambe queste cose. Molti dei grossi nomi dell’informatica mondiale (Gates, Jobs, Dell, Ellison per citarne alcuni) non hanno completato il college e molti dei progetti che più hanno cambiato il nostro modo di vivere sono stati ideati da chi sarebbe stat, probabilmente, fuorliegge con una legge del genere.

Per questa volta non si tratta di Italia ma… il solo pensiero che una cosa simile possa arrivare in Italia mi spaventa e non solo perchè io non ho alcuna laurea, ma solo 30 anni di passione/esperienza. Uno strumento come questo messo in mano al governo (e non ne faccio un discorso di parte politica) distruggerebbe la diffusione di una cultura informatica che nel nostro paese stenta a crescere. La gestione di questo fantomatico ordine verrebbe girato a qualche ente già burocraticizzato, facilmente plasmabile da chi ha potere e poca conoscenza e inaccessibile da chi, al contrario, non ha potere ma detiene la vera conoscenza. Le società “informatiche” che lavorano per gli enti governativi o pubblici o, comunque, nelle aree sensibili continuerebbero a lavorare senza alcun miglioramento della qualità… anzi. Forti di un vero e proprio “appoggio” ufficiale forse farebbero di peggio.

E chi ne sa… rimarrebbe a guardare. La luna.

 

 


7 risposte a “Il “registro””

  1. Una quindicina di anni va mi ero iscritto ad un’associazione di professionisti dell’informatica con l’idea che uniti si potessero promuovere iniziative o che un’associazione potesse portare benefici in termini di informazione e occasioni di lavoro.
    Dopo pochi mesi, leggendo i bollettini che arrivavano (Internet c’era ma non era questa Internet) avevo capito che stavo dando i miei soldi ad un gruppo di burocrati che voleva promuovere un albo degli informatici (ovviamente iscritti d’ufficio i membri dell’associazione).
    Ho cancellato all’istante la mia iscrizione. Mai piu’.

  2. Sono sostanzialmente le obiezioni che faccio quando qualcuno ventila la possibilità di creare un ordine degli informatici perciò non posso che sottoscrivere col sangue. 🙂

  3. Di “informatici” ne conosco tanti.
    Ma tra questi, quelli veramente bravi, quelli che ti risolvono il problema apparentemente impossibile o sfoderano soluzioni veramente brillanti, li posso contare sulle dita di una mano (e qualcuno scrive su questo blog 🙂 ).
    Nessuno di essi è laureato:
    Tutti come me hanno “solo” 20/30 anni di esperienza sul campo e una grande passione per l’informatica.
    Non voglio togliere nulla all’istruzione universitaria, ma avrei proseguito anch’io gli studi se non mi fossi accorto che quasi nulla di ciò che studiavo era “utile” in situazioni reali.
    Ora i tempi sono cambiati, le lauree sono diverse e più allineate con quelle di altri paesi.
    Escono laureati che sono più preparati ed alcuni sono pure brillanti.
    Ma rimango dell’opinione che l’esperienza di chi l’informatica l’ha vista nascere o addirittura l’ha fatta crescere sia difficilmente sostituibile.
    Chiunque in ogni parte del mondo voglia creare una regolamentazione e “categorizzare” la nostra professione dovrebbe tenerne conto.

    • Credo che l’informatico si dovrebbe laureare (o approfondire la parte teorica della conoscenza) dopo 20 anni di esperienza sul nudo metallo.

      • Non credo si debba arrivare a questo.

        Quello che dovrebbe definire se un “informatico” possa essere dichiarato più o meno tale è la sua “curiosità” nelle cose su cui lavora. Non deve necessariamente sapere tutto, sarebbe impossibile. Ma se trova un ostacolo, non deve aggirarlo e basta… ma capirne il perchè ed il percome.

        Ma la curiosità, deriva anche dall’innata passione. Un programmatore senza passione, ad esempio, non sarà mai un bravo programmatore. Sarà un automa che mette in sequenza linee di codice.
        Spesso alla cazzo.

        K.

        • Sottoscrivo.
          Negli anni ottanta e forse sopratutto negli anni novanta c’è stata, almeno in Italia un’infornata di “informatici”.
          Persone che sceglievano questo mestiere solo per un mero stipendio e questo ha portato un grande numero di informatici “impiegati” senza nessuna passione (che fossero laureati o meno, quanti laureati in lettere o economia ho conosciuto che si spacciano come sistemisti o programmatori!).
          Personalmente (da semplice diplomato) credo che una buona laurea vecchio ordinamento dia quella marcia in più che le lauree brevi odierne non riescono a dare. Ma è una marcia teorica, che crea la differenza solo se c’è una vera passione e un impegno per colmare il gap pratico (il gap pratico è più facile da risolvere di quello teorico).
          I moderni laureati triennali sono dei tecnici discretamente specializzati ma teoricamente impreparati, poco più di “ITISari”, forse solo più appassionati.

  4. Ecco, con tutto che conosco un sacco di pseudo-informatici incapaci, mi sembra ovvio che questa puttanata dell’ “ordine” non potrebbe che portare a ulteriori peggioramenti. Nel mentre, vi ricordo che per legge nessuno di noi puo` installare un apparato di rete.

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