Tag: facebook

  • Il traffico di Facebook

    Qualcuno si è accorto che verso le 18:00 di oggi Facebook è andato down e ci è restato per circa 30 minuti.

    Per farmi un’idea della misura di questo down sono andato a vedere le statistiche di traffico IPv4 del MIX che, ad oggi, interconnette 145 ISP e 37 carrier:

    Traffico IPv4 del MIX

    Quello scalino da 20 Gbit/sec coincide con il down di Facebook. E stiamo parlando di parte del traffico italiano.


    Aggiornamenti dopo la pubblicazione iniziale:

    • 1/8/2014 22:50 sostituzione del grafico con uno catturato in seguito per meglio evidenziare il calo di traffico

     

  • I Social network e la ricerca delle pagliuzze

    @Flaviaventosole su TwitterE’ da un paio di giorni (ossia dalla data di pubblicazione) che sta spopolando su Twitter e, soprattutto su Facebook, il tweet di Flavia Vento nel quale la… hem… la… (qualcuno mi trova una definizione per favore?) si chiede cosa sia il MOSE.
    I toni dei retweet o dei post su Facebook sono tutti simili: sgomento totale, commenti sbigottiti e un generale sconcerto per questa semplice domanda.

    (altro…)

  • Cos’è il genio? /10

    Hai fondato un gruppo su Facebook per utilizzare la rete come laboratorio di buone idee per la politica. Bravo.

    Pensi che proprio dalle discussioni in rete possano nascere delle proposte. Ottimo.

    Decidi di postare una immagine. Ottima idea.

    Un genio !!!

    Ma sei un genio !

     

  • E tu, dove sei?

    Oltre un miliardo di utenti facebook in una fotoQuasi un miliardo e trecento milioni di utenti. Quasi un miliardo e trecento milioni di foto di profili messi tutti insieme all’interno di una singola pagina web.

    Ecco l’ultima applicazione (assolutamente inutile, nda) ma, almeno, con un fantastico impatto visivo, presente in rete, realizzata dall’americana Natalia Rojas. Dopo aver scoperto che tramite le API di Facebook era possibile accedere ai profili di tutti gli utenti del social network, Natalia ha impiegato oltre un anno per realizzare l’applicazione (afferma di averlo fatto solo nel tempo libero, però).

    Ovviamente l’applicazione vi permette di ingrandire frammenti della pagina per vedere le singole foto dei profili e, se accettate di fornire un po’ di informazioni a Facebook, potrete anche cercarvi, trovarvi e, soprattutto, scoprire dei votri amici chi si è iscritto prima e dopo di voi.

    Sono cose importanti, no?

     

  • APP o browser?

    link a facebookLo dico subito: non sono mai stato un fanatico del fenomeno delle APP, specialmente quando venivano spacciate come “evoluzione” del web.

    Riconosco che quando è nato l’iPhone le reti cellulari non erano dei fulmini di guerra per la trasmissione dati, i siti non erano (più) ottimizzati per connessioni a bassa velocità e ovviamente non esisteva (ancora) il concetto di “versione mobile del sito”.

    In sé la APP disaccoppia i dati dalla presentazione: la presentazione risiede staticamente sul telefono (client) e i dati vengono pescati dinamicamente dal server via http[s]. Questa tecnica riduce notevolmente il traffico dati perché la presentazione (la APP), che è la parte più cospicua dal punto di vista del traffico, viene trasmessa solo in fase di installazione/aggiornamento.

    Ma c’è un pericoloso risvolto della medaglia: una APP è un vero e proprio programma che gira sul telefono a cui vengono concessi dei permessi di accesso da parte dell’utente (si spera in maniera consapevole). Senza contare il fatto che spesso una APP “presenta” dei contenuti del web, senza però offrire la possibilità di ricavare un riferimento ipertestuale (URL) a quei contenuti per trasmetterli o referenziarli altrove. In alte parole, rompe uno dei fondamenti del WWW.

    Si può star qui a disquisire sull’opportunità di avere un sistema con più o meno granularità di permessi, ma alla fine la questione è una: le APP tendono a chiedere più privilegi di quelli che hanno bisogno, nel nome della oramai logora “migliore esperienza di utilizzo”.

    Facebook è un chiaro esempio di questa espansione e trasformazione verso qualcosa che diventa onestamente eccessivo. Se si guarda l’applicazione per Android, i permessi richiesti sono poco giustificabili ad una prima analisi. Non sono, ovviamente, tirati a caso, ma l’applicazione di Facebook inizia a diventare onestamente troppo invasiva.

    (altro…)

  • Facebook acquisisce Instagram

    Mark Zuckerberg ha annunciato che Facebook ha siglato un accordo con Instagram per l’acquisizione della società di condivisione delle immagini.

    La transazione si sarebbe conclusa con il pagamento di circa un miliardo di dollari tra azioni e contante. La società di San Francisco aveva raccolto 47 milioni di dollari di finanziamenti da fondi di venture capital quali Andreessen Horowitz, Baseline Ventures e Benchmark Capital ed era valutata attorno ai cinquecento milioni di dollari. Il che significa che gli investitori hanno portato a casa il doppio dell’investimento.

    Secondo il comunicato di Zuckerberg e del CEO della società acquisita, il brand di Instagram resterà per ora indipendente e continueranno gli sviluppi sulla piattaforma di condivisione delle immagini.

    Questa è per ora la più grande acquisizione conclusa da Facebook.

  • Quella spennellatina sulla coscienza tipica di Facebook…

    Lo so, questo post attirerà contro di me fulmini e saette… ma sono ottimista: credo nella resurrezione.

    In questi giorni sto assistendo ad un simpatico mix tra “spennellata sulla coscienza” e “pecoroni del mondo uniamoci“: il cambio della propria immagine del profilo con quella di un cartone animato della propria infanzia. Entrambi questi atteggiamenti sono tipici di Facebook e si manifestano con frequenza regolare, soprattutto il primo.

    Quando ho visto i primi “cambi” ho pensato che fosse l’idea di qualche buontempone, tanto da chiedere a un paio dei miei contatti che già avevano fatto la modifica il perchè di questa cosa e ho ricevuto risposte poco chiare, molto confuse. Con facilità sono, però, riuscito a trovare il perchè ed il percome di questa idea e… francamente sono rimasto deluso e ho deciso di non partecipare.

    La mia impressione (si, lo so, è certamente sbagliata) è che ci sia tanta ipocrisia in gesti come questi e quello che leggo in queste azioni è una cosa tipo “Hey, è la settimana dell’infanzia… e io ci partecipo attivamente… cambio la mia immagine di profilo anche io.
    Ma fare qualcosa di concreto… no? E solo in questi giorni bisogna pensare all’infanzia? Gli altro 358 giorni no?
    Lo so, sono cinico e probabilmente anche un po’ stronzo. Lo so benissimo. Ma questo è quello che penso. E, tristemente, è la stessa identica cosa che penso quando vedo cose tipo “Pinco Pallino ha aderito alla causa ‘Raggiungiamo <numero superiore a 100.000> iscritti per fermare <causa banale e ovvia>’” oppure quando vedo “Pallino Pinco si è iscritto al gruppo ‘facebook contro la [pedofilia|vivisezione|ecc. ecc.]‘.
    L’immagine è quella del vecchio barbiere che con la spazzola toglie dalla spalla i capelli rimasti… solo che in questo caso la spalla sarebbe la nostra coscienza.

    A questo poi aggiungiamo tutta quella marea di pecoroni che hanno fatto questo cambio non sapendo bene di cosa si tratta. E ce ne sono, credetemi. Provate a chiedere ai vostri contatti per verificare. Chiedete il perchè di questa iniziativa. Chiedete su cosa bisogna sensibilizzarci e non limitatevi alle frasi fatte tipo “è la settimana dell’infanzia”. Quello lo sa anche Nicole che di anni ne ha 5. Quanti sanno entrare nei particolari? Quanti sanno qualcosa della “Convenzione sui Diritti dell’Infanzia“?

    Tornare bambini per qualche minuto, per qualche ora o, ancora più ipocritamente, per qualche giorno modificando l’avatar del proprio profilo di facebook non serve a nulla.

    Più che tornare bambini, dovremmo pensare di più e con più attenzione ai bambini e, magari, porre maggiore attenzione al loro futuro.

  • Venghino signori, venghino!

    Hai bisogno che si parli di te?
    Hai bisogno di stare per un po’ sulle prime pagine dei media tecnologici?
    Hai bisogno di pubblicità gratuita?
    Semplice, spara o inventa qualche cazzata che abbia a che vedere con Facebook ed il gioco è fatto. Non importa quanto stupida, illogica, inutile, qualunquista o retorica… non importa se reale (tipo il ‘socialsalvin’, vero Marco?) o solo a parole. L’importante è farlo.

    L’ultima è di Jimmy Kimmel che, a detta del Corriere, pare sia un popolare comico e conduttore statunitense. Un genio che ha proposto, per il 17 Novembre, il National Unfriend Day, data nella quale si invitano tutti (coloro che non hanno cervello per pensare da soli, nda) a cancellare i ‘friends‘ che non sono friends, filosofeggiando che “These people on Facebook..they’re not your friends. That’s all.
    I casi sono due o questo è veramente un povero ingenuo mononeuronico che crede che il significato di “facebook friend” sia identico a quello di “friend”, oppure questo sa benissimo che i due concetti sono completamente diversi ma, ovviamente, gioca con l’ingenuità di chi gli da retta.

    E’ vero che per molti idioti è importante il numero di amici che si hanno in lista. Non parlo di chi usa Facebook a livello commerciale (ci sono professioni che se sfruttassero Facebook bene migliorerebbero il proprio business), ma parlo di chi usa Facebook un po’ come uno status symbol… e ce ne sono a quintali. Quelli che “sei su Facebook? Quanti amici hai?” oppure “Come non sei su Facebook? Figata… io ho x amici!”. Ed è a questi ingenui bagonghi che questo signor Jimmy punta (e sfrutta) per farsi pubblicità…
    Ma la cosa triste è che la stragrande maggioranza di chi commenta questa notizia… gli da ragione, affermando che lo faranno loro stessi… forse perchè anche loro, nel loro piccolo, hanno bisogno di pubblicità. E il luogo comune più retorico che viene utilizzato è “se hai perso di vista un amico e non lo senti da oltre 10 anni, è perchè non è tuo amico”.

    Il problema di base è che “Facebook Friend” non significa friend. Il fatto che il marketing facebookiano, per tradizione e intelligenza, abbia usato questa parola non è sufficiente per farti spegnere il cervello. Su Facebook l’”amico” non è lo stesso amico che hai nella vita reale. E’ un contatto. Punto e basta.
    E’ possibile che qualcuno di questi contatti sia anche un amico vero e proprio, ma questo è un caso. Solitamente sono persone con cui condividi un hobby o un interesse. Sono persone con cui magari ti capita di intavolare discussioni dalle quali impari sempre qualcosa (non ho detto cambi idea, ho detto impari qualcosa). Seono persone i cui l’1% di status o link possono anche farti sorridere o farti pensare. Magari quell’1% mischiato tra l’altro 99% di inutilità, ti fa conoscere qualcosa di interessante, uno spunto per una risata, per un po’ di relax o per un approfondimento. Sono persone che hai perso di vista per qualche motivo e con cui ti fa piacere, ogni tanto, scambiare qualche messaggio senza dover necessariamente trascorrere ore insieme. Sono persone a cui chiedere un veloce suggerimento.

    Ripeto: non sono friends. Sono “Facebook Friends“.

    Poi certo sicuramente tutti (me compreso) abbiamo qualche inutile “friend” nella nostra lista. Ma questo e il Social Network (in genere) non ha per nulla “deprezzato il concetto di amicizia“, che è una delle filosofeggiate retoriche di Jimmy (e chissà quanti altri).
    Semmai sarebbe più utile e importante che la gente non deprezzi il proprio cervello esaltando i Social Network, rendendoli uno status symbol e dando a gente come questo Jimmy la possibilità di farsi pubblicità con queste cazzate.

    Chi sarà e cosa si inventerà il prossimo personaggio alla ricerca di pubblicità gratuita?

  • Fammi sapere dove sei… che a casa tua ci penso io.

    L’argomento “privacy“, in particolare legato a Facebook ma a Internet in genere, è sempre di moda. Non solo sui giornali o sui blog (va di moda dire “l’ho letto su un blog”, non importa quale), ma anche nelle conversazioni tra amici che, magari, vogliono mostrare la propria cultura informatica buttando qua e là qualche nozione o qualche luogo comune.

    E così ti capita di assistere a divertenti conversazioni tra ingoranti informatici. Quella che segue è quello che mi ricordo di quella che ho dovuto ascoltare ieri mentre tornavo a casa in autobus. I protagonisti  erano due signori più o meno sulla 40ina, ovviamente entrambi con il sasso piatto (iPhone) in mano:

    A: “…. si perchè i giochi su facebook ti rubano l’identità”
    B: “oh vero, l’ho letto ieri su un blog… c’è stato un casino con Facebook… applicazioni che ti rubano l’indirizzo di email, poi sanno tutto di te…”
    A: “si, si… mai io su Facebook non gioco. Scrivo qualche cosa, ma basta…”
    B: “anche io, poi sono giochi stupidi, da bambini…”
    [pausa di qualche minuto, passiamo davanti a qualcosa e..]
    A: “tu usi Foursquare?”
    B: “si… anche ‘luoghi’… perchè?”
    A: “se vai in quel bar puoi registrarti!”
    B: “oh… ci andrò.”

    Ora, al di là della chiara scarsissima cultura informatica, mi ha fatto ridere la frase “applicazioni che ti rubano l’indirizzo di email, poi sanno tutto di te”… seguita poco dopo dalla conferma dell’uso di una applicazione (Foursquare come Facebook Places, stessa cosa) che comunica al mondo (ad esempio tramite Facebook stesso) dove sei in quel momento…

    Parli di privacy? E allora parlane bene: non serve rubare l’email per sapere che in quel momento non sei a casa… basta leggere Facebook e con quell’informazione è più facile rubare… ma non qualcosa di virtuale… qualcosa di materiale (macchina, svaligiare casa…).

  • Rowan, senza saperlo hai aggiornato il tuo status

    Chimatemi scettico, chiamatemi come volete, ma quando leggo articoli che parlano di Facebook in un certo modo, faccio immensa fatica a credere alle buone intenzioni dell’autore, ma mi viene spontaneo pensare che dietro ci sia una forte necessità di un po’ di sana pubblicità… gratuita.
    Mi riferisco a questo articolo: Six reasons Why I’m Not On facebook, nel quale l’autore, che altro non è che il direttore di Wired UK, spiega i sei motivi per i quali lui non è su Facebook. E mi chiedo… perchè il direttore di una rivista dovrebbe dedicare un intero articolo per spiegare una sua scelta personale, se non per sfruttare proprio il fenomeno che l’articolo stesso osteggia ed ottenere un po’ di nuova visibilità in rete?

    Ho ovviamente letto queste motivazioni e la prima impressione è stata quella di qualche idea a cui è stata data una pennellata di moralismo … insomma, il minimo sindacale per scrivere un articolo ad effetto.

    1) Private companies aren’t motivated by your best interests
    Wow, che pensatona… Probabilmente la mia Nicole, di 5 anni, sarebbe già in grado di capire che lo scopo di una società privata è quella di fare soldi per far felice gli investitori. Se poi questo combacia con i migliori interessi di chi usufruisce del servizio, allora bene. Esattamente come Wired, che non è una rivista a scopo benefico. Per quale motivo, quindi, questo dovrebbe essere diverso per Facebook?

    2) They make it harder to reinvent yourself
    E perchè la gente dovrebbe reinventare se stessa? Per cancellare gli errori che uno ha fatto? E perchè? Ci viene insegnato che si impara dai propri errori… certo, bisognerebbe non farne, ma quando accade… perchè “reinventarsi”. Accettiamo l’errore e cerchiamo di non rifarlo più. Magari, bisognerebbe pensare più a lungo a quello che si condivide, non so… urlereste la stessa frase o fareste girare la stessa foto in mezzo ad uno stadio gremito? (e lo dice uno che di errori, su Facebook, ne ha commessi tanti, nda). Che Rowan abbia qualcosa da nascondere e abbia paura che andando su Facebook questi scheletri nell’armadio possano uscire e ‘rovinargli la carriera’?

    3) Information you supply for one purpose will invariably be used for another …
    4) … and there’s a good chance it will be used against you
    Dejavù… si diceva lo stesso quando, digitando su Altavista (si, quell’Altavista, quello a ‘altavista.digital.com’) un termine per una ricerca, ‘casualmente’ appariva un banner ad essa relativa. “Hey, loro guardano quello che fai… ti mandano la pubblicità in base alle tue ricerche.”
    E allora? Dov’è il male? Non metto in dubbio che sia possibile che qualcuno usi le mie informazioni per scopi “malevoli” ma, ripeto, basta usare un po’ il cervello e non rivelare troppo. Forse Rowan non è in grado di farlo?

    5) People screw up, and give away more than they realise
    Traduzione (non letterale): “gli altri sono ciula e si fanno fregare e per questo io non ci vado, perchè se mi faccio fregare faccio anche io la figura del ciula”.

    6) And besides, why should we let businesses privatize our social discourse?
    Per capire questo punto, è anche necessario aggiungere un pezzo della sua spiegazione: “Yes, it’s free to join — but with half a billion of us now using it to connect, it’s worth asking ourselves how far this ‘social utility’ (its own term) is really acting in the best interests of society“. Insomma siamo ad una differente versione di ciò che è stato espresso nel primo punto. Siccome Facebook si autodichiara ‘social utility’ da qualche parte nel sito, ed è gratuita, allora è deciso che lo sia e che debba funzionare per il bene della società. Scherza, vero? Ditemi che scherza e che il direttore di una rivista come Wired UK non può essere così ingenuo.

    Se non vuoi “andare su Facebook”, non c’è assolutamente nulla di male. E’ una scelta esattamente uguale a quella fatta da chi ci è andato. Nessuno ti contesta e se lo fa è un cretino. Lo trovi un giocattolo inutile? Può esserlo. Lo trovi solo una grande perdita di tempo? Possibile. Lo trovi stupido? Liberissimo di crederlo.
    Ma, per favore, non fare facili moralismi e usare banali luoghi comuni, perchè questo articolo non è molto diverso dallo scrivere sul tuo status “oggi ho sei motivi per non leggere wired”.