E’ di qualche giorno fa la notizia che Thierry Breton, CEO di una delle più grandi società nel mondo dell’IT (la Atos Origin, forse la più grande a livello europeo), ha dichiarato che entro 18 mesi vuole (vorrebbe?) eliminare completamente l’uso dell’email per le comunicazioni interne. Il tutto perchè secondo alcune stime (sue?) lo staff spende settimanalmente tra le 5 e le 20 ore a leggere la posta elettronica e che solo il 10% di questi messaggi sono utili.
E come dargli torto?
Secondo Breton “l’email non è più uno strumento appropriato (per la comuncazione)” e che la comunicazione aziendale può e deve essere sostituita prendendo ispirazione (il “think different”, va di moda) da servizi più collaborativi ispirati al social networking, citando, ovviamente, Twitter e Facebook.
Ma è veramente così?
Personalmente sono fermamente convinto che il problema non sia (solo) la mail. E’ vero, è un sistema disegnato per essere verboso, ma non la trovo così obsoleta. Quello che reputo obsoleto è il modo con cui la gente la usa, per totale mancanza di cultura e, spesso, di volontà di usare il cervello e non fare le cose come un robot.
Le persone non sanno usare l’email, parte perchè per “renderla migliore” è stata rovinata (leggi l’HTML), e perchè i più diffusi client di posta (leggi “Microsoft Outlook” in primis) hanno fatto di tutto per collaborare alla creazione di asini-da-email.
Tralasciando casi particolari di aneuronicità, ecco alcuni esempi:
- ‘cc:’ selvaggio
è vero (e sacrosanto) che i destinatari di un messaggio possano essere molteplici, ma ci deve essere un limite. Inviare un messaggio chiedendo una informazione e mettendo in copia altre 11 persone (colleghi, capo, capo del capo, mio capo e 2 persone di un ufficio che non c’entra una fava) serve a far perdere tempo probabilmente a 8 persone a cui quella comunicazione non serve a nulla. Risultato è che col passare del tempo le email vengono ignorate e si perdono quelle utili; - ‘reply’ selvaggio
la persona ‘A’ scrive un’email a 5 persone (e facciamo finta che siano tutte correttamente ‘coinvolte’). Il risultato è che queste 5 persone inizieranno a discutere dell’oggetto del messaggio a furia di reply su reply. Tutti, ovviamente, aggiungendo qualcosa ma evitando, accuratamente, di rimuovere tutto il messaggio originale e la parte del messaggio originale contenuta nel reply stesso che si sta commentando… trasformando il messaggio in un qualcosa di mastodontico e difficilmente leggibile aumentando vertiginosamente il tempo impiegato per la lettura. E non ho nemmeno citato il fare il reply scrivendo solo “Ok.”; - ‘la risposta prima della domanda’
qualcuno dovrebbe spiegarmi perchè sebbene noi siamo abituati a dare una risposta, dopo aver ricevuto una domanda (o a commentare un concetto dopo averlo ascoltato), nel mondo delle email aziendale si ha l’abitudine a rispondere e/o “prima” della domanda e/o concetto. E, rifacendosi al ‘reply selvaggio’, si arriva al punto che per capire il flusso di una comunicazione bisogna usare un assurdo metodo di lettura che ricorda il film ‘Memento’.
Oltretutto quando il commento legato a quello che è scritto nel testo, diventa ancora più complesso riuscire a collegarlo e la perdita di tempo aumenta a dismisura; - ‘reply con nuovo cc’ selvaggio
i problemi evidenziati sino a qui sono, spesso, uniti tra loro. Qualcuno riceve un messaggio e decide che qualcun’altro ne deve essere informato. Sebbene la cosa potrebbe avere un senso, spesso non lo ha. Guardando alcuni thread sul mio client di posta risulta evidente come nella stragrande maggioranza dei casi le persone che vengono aggiunte ai flussi di email siano ‘capi’ o, nella peggiore delle ipotesi, persone a cui si vuole far sapere che si è coinvolti in un progetto. Il risultato è che il flusso di email diventa sempre più grande e più complesso da seguire; - ‘stampo l’email’
ricevo l’email, la leggo e la stampo, poi vado a prendere la stampa e la metto da qualche parte. Perchè? E’ vero che se si è organizzati questo non è una grossa perdita di tempo diretta, ma comunque lo è.
E’, soprattutto, una conferma della poca cultura legata all’uso dell’email. Un messaggio di email stampato (e non ne faccio un discorso ambientale ecologico che va di moda quanto il “think different”) dimostra che la persona o non si fida della tecnologia, o non sa che i messaggi rimangono (se non li si cancellano) oppure lavora in un ambiente che basa la propria comunicazione solo ed esclusivamente sulla carta; - ‘il subject, questo sconosciuto’
E’ così complesso pensare un secondo, prima di inviare un’email, che il subject è la prima cosa che uno vede? E che, magari, usandone uno chiaro, semplice, conciso sia d’aiuto non solo nell’immediato, ma anche per eventuali ricerche future (si, perchè… bestiale… nelle email si possono anche fare ricerche mirate e non scorrere la inbox al grido di “aspetta, me l’hai mandata a settembre quindi…”).
Potrei continuare a lungo prendendo spunto da numerosi esempi, ma credo che quello che ho riportato sino ad ora basti e avanzi a sottolineare cose che, sommate tra loro, aumentano notevolmente il tempo perso per “comunicare”.
Se ben utilizzata l’email è un ottimo strumento che deve, però essere integrato con quello che la tecnologia ci offre attualmente. All’interno di una azienda non vedo perchè tutto debba essere basato sul concetto di “mandami un’email”. Serve più velocità e una comunicazione immediata e su questo ha perfettamente ragione Breton: il social-networking ci ha insegnato che si può comunicare in modo efficace e in tempi brevi. Ma questo, a mio parare, non basta. Bisogna insegnare alle persone che quando si ha uno strumento in mano, bisogna saperlo usare… perchè il rischio è di ritrovarci tra qualche anno a dire che anche i nuovi strumenti ‘social-inspired‘ sono inutili.
Piccola nota… lo strumento che più avrebbe potuto migliorare la comunicazione aziendale era Google Wave. Peccato che nessuno, primi fra tutti Google, non lo abbia capito. Ora hanno Google+.
Speriamo capiscano che l’obiettivo non è fare un nuovo Facebook, ma portare certe tecnologie a livello aziendale.
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