So benissimo che questo post mi attirerà le ire di molti ma… chissene.
Oggi un amico mi ha fatto notare un post di tale Zambardino che ha un blog su uno dei tanti quotidiani italiani che prediligono il gossip alle notizie. La storia raccontata nel post, quella di un signor GA è, senza dubbio, triste, ma più che mettere in evidenza i “problemi della globalizzazione“, dovrebbe far pensare a “chi ha problemi con la globalizzazione“.
Per chi non volesse leggersi il post, (che è comunque corto), si tratta del riassunto della storia un signor GA, traduttore, che nell’ultimo anno ha visto calare il proprio fatturato sino alla disoccupazione, perchè il suo modello, che tanto aveva riscosso successo all’inizio, viene battuto dai problemi della globalizzazione.
Quello che io leggo in quella vicenda, non è tanto il terrore di quello che la globalizzazione può portare, ma il terrore di non volersi piegare e seguire il cambiamento che la globalizzazione necessariamente porta.
Ci vedo il “sedersi sugli allori” visto che le cose vanno bene.
Ci vedo il “non voler seguire la rete” perchè tanto il mio giro di clienti ce l’ho.
Ma, soprattutto, ci vedo la “presunzione“, cosa che fa a pugni (e ci perde) con la diffusione della rete e con la globalizzazione.
A dire il vero la prima cosa che mi ha (negativamente) colpito nel post è stata questa frase: “Poi qualcuno ossessionato dal “cost containment” si rende conto che lo stesso lavoro, ad un livello qualitativo infinitamente più basso, ma anche infinitamente più a buon mercato, può venir fatto da ragazzini nerd sparsi nel mondo: quindici, sedici anni, conoscenza superficiale delle lingue, tanta dimestichezza con i software automatici di traduzione.”
Pensa… e io che pensavo che l’acqua calda fosse già stata scoperta.
Questo non avviene “da un anno”, ma da anni, tanti anni, da quando si è diffusa la rete, da quando le aziende hanno iniziato a parlarsi non solo tramite posta ordinaria, ma tramite email. Questo avviene da quando chiunque, anche senza capirne una fava, è in grado di fare cose molto simili a quelli che quelle cose ne capiscono. Avveniva già dieci anni fa, quando chiunque era in grado di fare una “pagina internet”.
Ma è normale. Purtroppo. Non è una novità. Ma la soluzione non è certo piangersi addosso o, peggio, maledire la globalizzazione.
Non conoscendo appieno la vicenda, ma basandomi solo su come questa è stata trattata nel post, l’errore, a mio modesto parere, è proprio di GA che forte del suo “alto livello professionale“, non ha pensato che può essere più che normale, per una azienda, valutare soluzioni meno costose. Il “cost containment” non è una ossiessione, ma una necessità e immagino che lo stesso GA stia bene attento a come spende i propri soldi. E non credo che a lui questo sia consentito ma ai suoi clienti no.
Proprio perchè è conscio di quello che vuole dire “qualità” e, soprattutto, forte di uno zoccolo duro di clienti, lui avrebbe potuto “aprirsi” e iniziare a valutare di fornire livelli di servizio diversi, usufruendo proprio di quei suoi “nemici” che giocano al ribasso… ossia quei tanto vituperati nerd. I software di traduzione e la sua competenza avrebbero potuto permettere di costruire qualcosa che fosse una elevata via di mezzo tra la traduzione a basso livello da software, e quella sua. Sarebbe venuto incontro a chi voleva diminuire i costi, pur mantenendo un livello più che decente. Non lo stesso, magari, ma più che sufficiente.
Avrebbe, sempre a mio parere, potuto costruire qualcosa che potesse continuare a vivere anche con la globalizzazione.
Ma è la frase conclusiva del post la cosa che più mi ha fatto sorridere: ““Ora vivo dei risparmi, poi si vedrà cosa fare. Certo non lavorerò più con le lingue”. Anche questo è un processo della globalizzazione. E non è buono perché porta distruzione di saperi senza creare conoscenze e competenze alternative.”
No, no e poi no! Questo è il luogo comune “radical-chic” che piace tanto e va di moda. Come il nero… che non impegna e va su tutto.
La globalizzazione non porta affatto “distruzione di saperi senza creare conoscenze e competenze alternative.” La globalizzazione porta cambiamento. Sta a noi capire come “reinventarci”, come creare competenze alternative in base al nostro sapere e alla nostra esperienza.
Perchè il sapere non lo si distrugge.
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