Ho fatto la prima installazione di prova di una RedHat 7.0 beta 1.
Dopo aver scaricato l’ISO, ho creato una macchina virtuale su VMware Workstation 9 con queste caratteristiche: 2 Gb RAM, 20 Gb disco, singolo processore 64 bit a un core, NIC in bridge, sistema operativo Linux 2.6.x a 64 bit generico.
Il boot da CD lascia 30 secondi di tempo per decidere se partire subito, attivare il rescue mode oppure cambiare i parametri del kernel.
Anaconda ha un nuovo aspetto grafico, la procedura di installazione non è più in formato wizard ma propone tutti gli elementi da configurare in una schermata riassuntiva unica e lascia decidere al SysAdmin cosa configurare e in che ordine. Nota: il partizionamento dei dischi è l’ultimo dell’elenco e potrebbe essere necessario utilizzare le scroll bar per visualizzarlo.
La scheda di rete viene configurata automaticamente in DHCP ed ha abilitato per default IPv6, anch’esso in configurazione automatica.
Quando si seleziona il disco di installazione il sistema chiede se si vuole uno schema di partizioni basato su LVM oppure il partizionamento classico. Il file system proposto di default è xfs. Con il partizionamento classico il sistema crea di default una partizione boot
da 500 Mb, una root
e una swap
pari alla dimensione della RAM.
Anche la parte di selezione dei pacchetti è cambiata. Viene offerta una lista di ambienti tipici che si possono personalizzare con ulteriori aggiunte: minimale, web server, file e print server, infrastructure server, computer node, virtualization host, server with GUI, GNOME desktop, KDE plasma workspace e development and creative workstation.
Per fare un test ho scelto Server with GUI a cui ho aggiunto il server DNS, un server FTP, MariaDB (ex MySQL), il server SMTP, Firefox, PHP e Apache. La mia installazione tipica di CentOS 6 è quella minimale senza GUI a cui aggiungo ciò che mi serve, ma questa volta volevo provare la nuova GUI.
Una volta avviata l’installazione si possono impostare la password di root e le credenziali di eventuali altri utenti; se la sicurezza della password scelta è debole è necessario confermare due volte la scelta effettuata.
Al termine dell’operazione il sistema chiede di essere riavviato e l’installazione prosegue con la configurazione di kdump e dell’abbonamento agli aggiornamenti di RedHat. Non sono più configurabili in questo contesto SElinux, impostato a enforcing, e il firewall.
Al primo login di un utente parte un wizard in cui si possono scegliere la lingua e la tastiera e si può associare l’utente ad altri account online (social, mail o utenti di rete). Al termine del wizard compare una guida a GNOME 3.
Il menu delle applicazioni sembra un po’ quello di Windows 7 capovolto: due colonne a discesa dall’alto con i gruppi di programmi da un lato e i singoli programmi dall’altro.
Da segnalare che lo standard dei nomi delle interfacce di rete è cambiato e viene adottato il metodo dei Predictable Network Interface Names, quindi la eth0
diventa, nel mio caso, ens33
. È bene tenerne conto se ci sono degli script o dei programmi che referenziano le interfacce di rete per nome.
MariaDB sostituisce MySQL, rimangono inalterati i nomi dei binari e delle directory, ma non il nome per avviare il demone, che passa da mysqld
a mariadb
. In questo caso, a meno ci cambiamenti della sintassi o aggiunte di parametri, gli script che funzionavano con MySQL dovrebbero continuare a funzionare con MariaDB. È comunque consigliabile consultare le note di incompatibilità tra i due programmi per evitare sorprese.
Con l’introduzione di systemd gli script di avvio/stop dei demoni non si trovano più in /etc/init.d
, anche se gli script che vengono creati in questa directory continuano a funzionare. Questo è un grosso cambiamento rispetto alle versioni precedenti con cui i SysAdmin dovrebbero familiarizzare da subito perchè il cambiamento introdotto da systemd è davvero radicale.
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