Il titolo indica quell’insieme di tecnologie atte a bloccare la visualizzazione delle pubblicità nelle pagine web.
La pubblicità, in qualsiasi forma e aspetto, quando è ben fatta e discreta al punto giusto è un bene per tutti gli attori del mercato: il consumatore conosce nuovi prodotti, il gestore del mezzo di comunicazione guadagna dall’inserzione e il promotore fa conoscere il proprio prodotto.
Il giocattolo si rompe quando una delle tre parti eccede, provocando una reazione delle altre due.
Semplifico molto.
Se la pubblicità è palesemente falsa (la pubblicità deve essere sempre vista come un racconto romanzato della realtà, se volete dati scientifici avete sbagliato indirizzo) o molesta ci sarà rifiuto di diffusione causato da un sentimento negativo da parte del consumatore.
Se il consumatore fa di tutto per dribblare la pubblicità, il gestore del media metterà in atto contromisure per potersi garantire il gettito di danaro.
Se il gestore del mezzo di comunicazione eccede nei modi con cui fornisce la pubblicità, il prodotto reclamizzato avrà una connotazione negativa presso il consumatore per l’eccesso di presenza oppure il consumatore eviterà quel mezzo di comunicazione (cambia canale, cambia giornale, eccetera).
Nel web la pubblicità è sempre stato un argomento spinoso e dibattuto per vari motivi, primo tra i quali è la relativa novità del mezzo di comunicazione che non si adatta agli schemi delle agenzie di pubblicità (quelle che insegnano a tutti ad essere innovativi e a guardare al futuro, sì, proprio loro). L’argomento è ancora dibattuto.
La tentazione di abusare del mezzo è grande e abbiamo già visto le conseguenze: qualcuno ricorda i pop-up e pop-under? Ad un certo punto sono iniziati a saltar fuori (pun intended) i pop-up pubblicitari; quando la tecnologia è stata utilizzata oltre il limite del buon senso, hanno iniziato a comparire settaggi e tecnologie di blocco, finché per default tutti i browser hanno bloccato i pop-up.
Con la pubblicità nei riquadri delle pagine (più o meno interstiziale) stiamo arrivando allo stesso livello di saturazione.
Dopo la debacle dei pop-up la pubblicità ha preso una forma più simile a quella dell’impaginazione giornalistica in cui l’area della pubblicità si alterna a quella dei contenuti.
Poi sono comparse le animazioni Flash.
Poi gli sfondi della pagina cliccabili.
Poi i contenuti multimediali in avvio automatico a tutto volume.
Poi agli utenti si sono rotti i coglioni.
Ed ecco che sono iniziati a proliferare gli Ad blocker. I promotori della pubblicità hanno minimizzato il fenomeno (hanno studiato strategia della comunicazione: se non minimizzassero il fenomeno vorrebbe dire dargli importanza) riducendolo ad un comportamento marginale di pochi smanettoni che tanto non sono i target del message.
Poi è arrivata Apple e quando arriva lei in un settore di mercato lo fa se fiuta il profumo dei soldi. Et voilà!
Purify Blocker nel momento in cui viene redatto questo testo è la prima APP non-game dello store; a soli $1.99, vengino siori, più gente siamo e più matti vediamo!!!
In pratica qualcuno sta pagando Apple e gli sviluppatori di quelle tecnologie per evitare di avere una pubblicità per cui il promotore del prodotto ha pagato un’agenzia e il gestore del sito. In altre parole: voi pagate la pubblicità, Apple e gli sviluppatori incassano. Grazie mille.
Anche il più famoso plugin di blocco pubblicitario per Chrome ha fiutato il profumo dei soldi: lo sviluppatore ha venduto il progetto a ignoti e il programma inizia a far passare alcuni annunci in modo non controllabile dall’utente.
Per Chrome resta valido il plugin Privacy Badger della Electronic Frontier Foundation, che quantomeno è coerente con gli scopi di chi lo sviluppa ed è qualcosa di più di un Ad blocker.
È un fatto che chi propone (eufemismo per “ficca in gola in quantità oltre il soffocamento”) pubblicità sul web sia andato oltre la misura e abbia scatenato una reazione difensiva da parte di chi si deve sorbire quelle cose obtorto collo.
È altresì un fatto che pagare un terzo per togliere la pubblicità è una cosa che quasi solamente chi ha un i-device può essere convinto a fare.
Insomma, per citare un vecchio claim, c’è Baruffa nell’aria.
Attendiamo solamente che parta una campagna di “pubblicità responsabile” in cui i gestori dei contenuti si impegnano unilateralmente (non c’è bisogno di nessuna legge, grazie) a fare i bravi e a giocare in maniera onesta, nell’interesse di tutti.
Perché l’alternativa è far diventare il blocco della pubblicità un business lucrativo.
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