Vi provo a raccontare una favola.
C’era una volta un giudice che aveva portato avanti un processo legato alla mafia contro 110 imputati. Al termine del lungo iter processuale tutti gli imputati vengono dichiarati colpevoli e vengono loro inflitte pene per un totale di circa un migliaio di anni di carcere. Terminato il processo, questo giudice si mette davanti al proprio computer e inizia a scrivere le motivazioni della sentenza, così come viene richiesto dalla legge. Poichè la cosa è lunga, preferisce semplificarsi la vita e al posto di utilizzare un unico enorme file, preferisce generarne diversi, più piccoli. Al termine di questa lunga operazione il nostro giudice invia tutti questi documenti in stampa, li raccoglie in un bel faldone cartaceo e lo deposita proprio come stabilito dalla legge, quella stessa legge che lui, essendo giudice, deve essere il primo a osservare.
Però qualche tempo dopo si accorge che per qualche motivo a lui sconosciuto, una parte di questi documenti non sono stati stampati e che che le motivazioni della sentenza sono state quindi depositate “monche”. Da bravo giudice prova a depositare le pagine mancanti come integrazione ma… probabilmente è troppo tardi e la suprema corte, grazie a quello che viene chiamato “vizio di forma”, rischia di dover scarcerare tutti o parte di quei delinquenti permettendo loro di ritornare a fare tutto quello che facevano prima… illegale o meno.
Piaciuta?
Beh, a dire il vero non importa se vi sia piaciuta o meno, perchè questa non è una favola, ma una tragica realtà, iniziata poco più di un anno fa, a cui numerose fonti (IlGiornale, IlFattoQuotidiano, LaStampa per citarne tre) hanno dato poco spazio.
Ma come sempre succede, si punta il dito contro la luna e la stragrande maggioranza degli stolti guardano il dito. E così leggendo come le varie fonti hanno trattato questa vicenda ci si accorge, fin troppo facilmente, come la colpa sia stata data prima di tutto alla stampante, brutta e cattiva, che non ha stampato tutte le oltre 900 pagine della motivazione della sentenza e poi al giudice che non ha controllato, prima di depositarle, che le pagine non fossero complete e che mancassero oltre un centinaio di fogli.
No, cari miei. Il problema non è nè della stampante e tantomeno del giudice… ma di un sistema vecchio e retrogrado che non vuole modernizzarsi e che, nel secondo decennio del 2000 è ancora fondato sulla carta. Provate ad andare in un “palazzo di giustizia“, sedetevi su una sedia e osservate… vedrete davanti a voi materializzarsi il passato… vedrete scorrere davanti a voi tutto quello che c’è di obsoleto… vedrete personale (pagato) che spinge dei carrelli di metallo pieni di faldoni cartacei… vedrete pile e pile di carta muoversi da un ufficio all’altro… e non dovete stare a guardare tanto… giusto il tempo dell’attesa di avere uno stupido certificato (chiaramente cartaceo) nel quale si dichiara che non avete carichi pendenti. Dopo averlo profumatamente pagato.
Quando parlo di queste cose sento sempre le solite obiezioni, quelle trite e ritrite del “ma sai quando è grosso l’apparato giudiziario italiano?” No, e non me ne frega una beata fava. Perchè il problema non è la dimensione, non è la capillarità… è la mente di chi non vuole perdere il potere che i documenti cartacei gli danno. Nel 2013 non si può accettare che un giudice che ha redatto un documento in forma informatica debba stamparlo per depositarlo. La tecnologia (e non parlo di quella attuale, parlo di quella di una ventina di anni fa) è tranquillamente in grado di supportare queste funzioni, di gestirle in maniera sicura, completa. “Si, ma per fare una cosa del genere ci si mettono anni…“. E allora? Se non inizierai mai non finirai mai. Se non decidi di partire, questo processo sarà, ovviamente, infinito. E “E poi, cavolo, mica è semplice.” E chi ha mai detto che lo sia. Ma tra il non essere semplice e l’essere infattibile… ce ne passa. Certo, se si da in mano il tutto a qualche consulente dell’ultimo’ora, amico del fratello di qualche deputato/magistrato che sai… ‘conosce l’informatica e relookka un sito’, diventa impossibile anche informatizzare una banca. “Ma il cloud non è sicuro!“… e chi parla di cloud, quella è una buzzword tipica del marketing. Io parlo di tecnologia vera, quella che serve e che funziona. Parlo di documenti elettronici che non devono essere mai stampati, ma che sono accessibili in poco tempo a chiunque ne possa avere accesso. Parlo di un apparato, la giustizia, la cui stragrande maggioranza di dipendenti deve poter focalizzare la propria attenzione sul concetto di giustizia e non sul vagare da un piano all’altro portando fogli di carta.
Poi ci si sveglia e si scopre che la colpa, ahimè, è della stampante che non stampa e di un numero non precisato di delinquenti, riconosciuti colpevoli, che possono tornare in libertà… perchè “la giustizia è malata“.
Già… beoti… continuate pure a guardare il dito.
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