Con una sceneggiatura ancora una volta degna di un film, ecco che siamo arrivati all’ultimo capitolo della storia.
Perché ieri, per l’ultima volta, abbiamo fatto la lunga camminata che porta la Space Shuttle dalla rampa di lancio allo spazio, per l’ultima volta gli SRB sono caduti in mare e per l’ultima volta i gli SSME si sono spenti.
E’ iniziata così la missione STS-135, l’ultimo volo dell’Atlantis che rappresenta anche l’ultimo volo in assoluto dello Space Transportation System.
All’inizio della giornata si prospettava un rinvio piuttosto scontato, dato solo il 30% di possibilità favorevoli al lancio a causa non di un problema tecnico, ma a condizioni meteorologiche non favorevoli. Contrariamente alle previsioni, invece il tempo si è rivelato benigno, mentre il colpo di scena questa volta si è manifestato a pochissimo dal lancio.
A T-31, infatti, normalmente si annuncia «ground launch sequencer is go for auto sequence start», significa in termini pratici che il calcolatore a bordo dell’orbiter prende il controllo finale della procedura di lancio, verifica tutti i parametri operativi degli apparati di bordo, avvia i Motori Principali a T-6,6 e infine accende i booster a T-0 se la spinta degli SSME è nominale. Ieri, il conto alla rovescia è stato interrotto proprio all’approssimarsi di questo punto critico, perché il sensore preposto non ha confermato il corretto aggancio del traliccio del Oxygen Gaseous Vent Arm. I responsabili hanno verificato visualmente la posizione del braccio tramite le immagini delle telecamere poste intorno alla rampa di lancio e, una volta accertato il corretto parcheggio, hanno ripreso il conteggio.
In sostanza la missione STS-135 è stata determinata dalla decisione di mantenere in vita la ISS per altri 9 anni: la Space Shuttle infatti porta sulla Stazione Spaziale tutto il materiale possibile per la manutenzione e l’espansione della struttura.
In questo senso, il primo e più importante carico è il MPLM Raffaello con 16 armadi di materiale, il massimo possibile.
Il Lightweight Multi-Purpose Carrier serve per riportare a terra nella stiva della Navetta una pompa del sistama di raffreddamneto guasta, così da poter effettuare una analisis approfondita delle cause del danno subito.
La Robotic Refueling Mission consiste in un dispositivo sviluppato dal Centro Goddard per dimostrare la fattibilità di un sistema commerciale di rifornimento per satelliti già in orbita che hanno esaurito il combustibile.
Dato che commercial è ora la parla d’orfine alla NASA, questa tecnologia serve appunto solo come dimostratore e il Governo Federale pensa di trasferirla al settore privato per aprire un nuovo business nello spazio.
L’ultimo importante carico è il sistema TriDAR che consente l’avvicinamento e l’aggancio automatico di veicoli spaziali.
La sua caratteristica peculiare è di non richiedere nessuna particoalre superficie di rifermento sui due veicoli, ma si basa su modelli tridimensionali del “bersaglio” da confrontare ocn una seriei di rilevazioni fatte con fasci laser per stabilire la posizione realtiva e per aggiustare la traiettroia di avvicinamento. I dati di queto apparato non saranno direttamtne usati dal Trajectory Control System della Shuttle (che già usa fasci laser, am aassociati a una superficie riflettente sulla ISS), ma saranno trasferiti a un calcolatore separato su cui gli astronauti verirficheranno in parallelo i progressi dell’avvicinamneto. Questo dipositivo ha già volato precedentemente nelle missioni STS-128 e STS-131. E’ evidentemente una tecnologia fondamentale per facilitare le manovre di avvincimaneto, aggancio, sgancio e allontamanteo dei velivoli automatici che, gioco forza, dovranno sempre più spesso visitare la ISS.
Questa missione rappresenta a tutti gli effetti l’ultima missione umana della NASA, per ora e probabilmente per molti anni a venire.
Ammesso che la capsula Orion – o qualcsoa di simile – sia effettivamente sviluppata, si parlerà di un eventuale primo volo di prova con equipaggio nel 2016.
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