Nel novembre 2006 la polizia postale contestava a Google il reato di violazione della privacy perché un utente aveva caricato un video su YouTube che ritraeva un minore disabile malmenato.
Mountain View aveva deciso di appellare e in seconda istanza il provider era stato ritenuto non colpevole.
La polizia postale aveva deciso di ricorrere in Cassazione (nel frattempo la famiglia del disabile aveva ritirato la querela) in quanto sosteneva che i provider avrebbero dovuto mettere in campo strumenti di monitoraggio preventivo. Ieri i giudici di piazza Cavour hanno dato definitivamente ragione a Google.
Si ribadisce qui il concetto di responsabilità individuale anche online: la persona che compie dei reati non può difendersi dicendo “il provider non mi ha impedito di commettere il reato”, come volevano teorizzare gli inquirenti con il ricorso in Cassazione.
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