Ogni tanto qualcuno pensa che una zuppa di petali di rosa sia migliore di una zuppa di cipolle perché le rose sono più belle delle cipolle.
Stefano Quintarelli segnala la notizia che il Comune di Monaco farà dietrofront e rimetterà Windows sui suoi PC su cui aveva messo LiMux, una distribuzione Linux creata da loro.
Ci sono molte cause, a mio modo di vedere, del fallimento di questo progetto.
La prima è l’approccio autarchico al problema. Linux fa parte di un ecosistema collaborativo che permette a tutti di non inventare la ruota ogni mese, ma di prendere la ruota migliore possibile, apportare piccole modifiche o migliorie, utilizzarla per sé e condividerla con gli altri. Monaco ha avuto l’arroganza di voler gestire una distribuzione Linux, ma non è il mestiere di un ente pubblico, meglio lasciarlo fare a chi è capace. LiMux è stato addirittura certificato ISO9241: un approccio open e collaborativo sarebbe stata la proposta di patch a KDE e la certificazione ISO di KDE. In questo modo ne avrebbero beneficiato tutti e, magari, la comunità avrebbe lavorato per migliorare ulteriormente KDE, facendo in modo che anche Monaco ne traesse un beneficio.
È vero che Linux è meglio ottimizzato e permette di avere performance pari a Windows con un hardware inferiore, ma attenti ai rischi del minimalismo a tutti i costi. Ad una persona IT (consulente, dipendente o dirigente che sia) che fa passare Linux come quello che risveglia i cadaveri e li fa lavorare verranno dati solamente cadaveri e mai più hardware decenti. I costi di acquisto dell’hardware sono per ora in diminuzione al punto tale che il costo maggiore per i desktop stanno diventando il software e la gestione dell’hardware non l’approvvigionamento dello stesso. Ecco perché su numeri non piccoli è decisamente più conveniente il noleggio con assistenza che trasforma l’hardware in un servizio: l’organizzazione paga un tot all’anno per avere dei client funzionanti, esattamente come paga un tot all’anno per una fornitura costante di energia elettrica.
Con un clamoroso effetto boomerang, anni fa Microsoft aveva fatto diventare mainstream il concetto di TCO. Quando si valuta una piattaforma bisogna vedere costi e benefici nel suo insieme: minori costi di hardware e licenze potrebbero non essere controbilanciati dai maggiori costi di gestione. So benissimo cosa vuol dire gestire le licenze Microsoft per un’organizzazione, su questo ho un’esperienza di lavoro anche oltreoceano e vedere conti con tanti zeri fa un po’ riflettere, ma bisogna vedere quanti zeri hanno i conti di una soluzione alternativa.
Altro aspetto fondamentale è l’utente. I desktop sono fatti per gli utenti, non per l’IT né per chi scrive software. Per quanto detestato dall’IT, è l’utente che fa la differenza sul desktop. L’utente porta con sé anche un patrimonio che solo adesso si comincia a tentar di valorizzare in modo concreto: la sua esperienza e la sua preparazione. Se un utente deve buttare a mare la sua esperienza e la sua produttività su una piattaforma perché è stato deciso di cambiarla, tra i costi di adozione della nuova piattaforma bisogna includere i costi necessari per portare l’utente allo stesso livello di produttività e familiarità e i costi derivanti dal calo di produttività che si verifica in quel periodo. In soldoni: se un utente impiega un anno a tornare al livello precedente il costo totale è dato dal costo della formazione dell’utente sommato al costo di un anno di minor produttività.
Nel secolo scorso si tenevano i corsi di Windows base e di Office base, in cui di fatto venivano spiegate le basi dell’utilizzo dei PC. Ora queste nozioni sono (dovrebbero essere) date per scontate, il che significa che i costi di formazione li ha sopportati l’utente perché ha imparato a casa sua ad usare Windows e Office. Se lo faccio lavorare su una piattaforma a lui sconosciuta devo anche pagare in un qualche modo i costi di formazione.
Tutto quanto non significa una resa incondizionata al monopolista di turno, ma bisogna valutare i costi e sfruttare le occasioni.
Certamente il Comune di Rocca In Cima Al Colle con quattro PC in croce non ha alcuna forza contrattuale, ma realtà più grosse possono dialogare con i fornitori adatti (o anche con Microsoft, ma attenti a non chiedere all’oste se il vino è buono!) per trovare soluzioni di licensing adatte, come per esempio quelle per la pubblica amministrazione, quelle education o anche le offerte per il terzo settore. Il problema del licensing di Microsoft è che costa sì meno del prodotto off the shelf, ma è un servizio che va rinnovato ogni anno, quindi se un desktop ha una vita media di 4 o 5 anni bisogna valutare i costi totali dei due schemi di licenza. Inoltre una volta attivato un contratto di licensing con Microsoft non ve li scrollate più di dosso.
Se si vogliono introdurre delle alternative a Redmond si può farlo, ma non partendo dal sistema operativo dei desktop.
Una prima mossa è cambiare browser, forzando i fornitori di procedure via web a non supportare solamente una vecchia versione di Internet Explorer. Un altro punto di intervento sui client è l’uso di visualizzatori alternativi di PDF, oppure l’adozione di GIMP al posto della solita copia pirata di Photoshop che lascia la firma nei metadati dei JPEG, sputtanandovi a tutto il mondo.
Ma queste sono soluzioni che non fanno risparmiare molto. Il vero risparmio lo si può avere iniziando a sostituire i prodotti Microsoft lato server, dove le licenze incidono moltissimo e dove non c’è interazione con l’utente a livello di interfaccia di utilizzo, ma c’è solamente a livello di servizio. Si potrebbe favorire un fornitore che propone una soluzione con PHP e PgSQL/MySQL piuttosto che un fornitore che vuole ASPX e MSSQL/Oracle. Per quanto riguarda i siti della PA, Apache è in netta predominanza, basta, quindi, spostare questo concetto anche sui servizi all’interno dell’Ente. Anche in questo caso, però attenti ai costi e alla tentazione del riutilizzo di hardware obsoleto.
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