Nel novembre 2006 la polizia postale contestava a Google il reato di violazione della privacy perché un utente aveva caricato un video su YouTube che ritraeva un minore disabile malmenato.
La contestazione di per sé poteva sembrare strana a chi conosce come funziona il sistema, ma in primo grado i giudici avevano condannato David Carl Drummond (presidente del CDA di Google Italia all’epoca dei fatti), George De Los Reyes (membro del CDA di Google Italia all’epoca dei fatti) e Peter Fleischer (responsabile delle strategie sulla privacy per l’Europa di Google) a sei mesi di reclusione con la sospensione condizionale della pena.
Mountain View aveva deciso di appellare e in seconda istanza il provider era stato ritenuto non colpevole.
La polizia postale aveva deciso di ricorrere in Cassazione (nel frattempo la famiglia del disabile aveva ritirato la querela) in quanto sosteneva che i provider avrebbero dovuto mettere in campo strumenti di monitoraggio preventivo. Ieri i giudici di piazza Cavour hanno dato definitivamente ragione a Google.
Nella sentenza viene rilevato che “i reati di cui all’articolo 167 del codice privacy, per i quali qui si procede devono essere intesi come reati propri, trattandosi di condotte che si concretizzano in violazioni di obblighi dei quali è destinatario in modo specifico il solo titolare del trattamento e non ogni altro soggetto che si trovi ad avere a che fare con i dati oggetto di trattamento senza essere dotato dei relativi poteri decisionali”. Google “non ha alcun controllo sui dati memorizzati né contribuisce in alcun modo alla loro scelta, alla loro ricerca o alla formazione del file che li contiene, essendo tali dati interamente ascrivibili all’utente destinatario del servizio che li carica sulla piattaforma messa a sua disposizione”. La posizione di Google “è quella di mero internet host provider, soggetto che si limita a fornire una piattaforma sulla quale gli utenti possono liberamente caricare i loro video, del cui contenuto restano gli esclusivi responsabili.” […] “Gli unici titolari del trattamento dei dati sensibili eventualmente contenuti nei video caricati sul sito sono gli stessi utenti che li hanno caricati, ai quali soli possono essere applicate le sanzioni, amministrative e penali, previste per il titolare del trattamento del Codice Privacy”.
Una sentenza, va detto, che finalmente dice le cose come stanno veramente, costituisce un punto fermo e dissuade chicchessia dall’attaccare l’ISP perché è un facile bersaglio.
Si ribadisce qui il concetto di responsabilità individuale anche online: la persona che compie dei reati non può difendersi dicendo “il provider non mi ha impedito di commettere il reato”, come volevano teorizzare gli inquirenti con il ricorso in Cassazione.
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