Ogni tanto il personale IT deve confrontarsi con il supporto clienti.
Personalmente, la tecnologia che preferisco è la chat online in lingua inglese perché posso scambiare codici, numeri di serie, URL e quant’altro senza problemi e perché, alla fine è quello che risolve più velocemente i problemi.
Sono ben lontani i tempi in cui il supporto clienti dei server Compaq a Dublino era popolato da tecnici che avevano fatto qualche mese sul campo per rendersi conto di persona dei problemi e dei prodotti.
Oggi, in tempi di manager di Excel, viene visto come fondamentale comprimere i costi e, quindi, il supporto clienti viene spesso esternalizzato. Il risultato è, quindi, che la persona che risponde non fa parte dell’organizzazione e le uniche risposte che può dare sono quelle che vengono fornite probabilmente dalla medesima base dati reperibile online.
È particolarmente fastidioso quando l’approccio del supporto clienti non è tanto quello di risolvere il problema, quanto quello di chiudere la pratica. Come se i tecnici IT chiamino il servizio clienti per fare quattro chiacchiere e non perché c’è un’orda di utenti-orchi che sta assediando la sala server.
Negli ultimi mesi ho notato un’ulteriore livello di odiosità nei comportamenti del supporto clienti. È quello del 191, ça va sans dire. Infatti ultimamente questi signori prima reiterano ad nauseam la frase “non è colpa di Telecom”, probabilmente perché qualcuno ha detto loro che bisogna negare ad oltranza, e poi chiosano con “comunque se vuole possiamo risolvere noi il problema a pagamento a 24 Euro”.
In due mesi mi è successo due volte: la prima il cliente ha disdetto i servizi aggiuntivi oggetto della chiamata, la seconda volta ho fatto da solo, nonostante il supporto clienti. Entrambe le volte si trattava di configurare un apparato fornito da Telecom (il router Alice Business).
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