Uno sguardo attraverso le nubi


Non diversamente da molti altri veicoli che l’hanno preceduta, anche la sonda Juno ha dovuto faticare non poco per farsi strada nello striminzito budget della NASA, ma – con poco più di due anni di ritardo rispetto al piano originale – da ieri pomeriggio si trova finalmente in viaggio per la sua destinazione finale.
Questa sonda robotizzata è la seconda nel programma New Frontiers: dopo essere stata lanciata da un razzo Atlas V in configurazione 551, viaggerà per cinque anni e raggiungerà Giove nell’Agosto 2016, dopo aver effettuato anche un flyby con la Terra nell’Ottobre 2013.

Juno si inserirà poi in una orbita polare con un periodo di 11 giorni terrestri intorno al pianeta più grande del Sistema Solare.
I suoi strumenti sonderanno l’interno dell’atmosfera gioviana per misurare i rapporti di abbondanza tra idrogeno e ossigeno per dedurre quindi la quantità d’acqua.
La sonda misurerà anche con precisione la gravità e il campo magnetico del pianeta, cercando ulteriori dati per avvalorare e raffinare la teoria della dinamo che cerca di spiegare la generazione della magnetosfera intorno a pianeti e stelle.
Gli strumenti a bordo sonderanno il nucleo del pianeta (che si ritiene contenga idrogeno metallico) e cercheranno più informazioni sulla genesi del pianeta nel periodo di giovinezza del nostro Sistema Solare. Dato che si ritiene che Giove sia stato il primo pianeta a formarsi, si presume anche che una migliore comprensione dei meccanismi che hanno portato alla sua aggregazione ci possa aiutare anche a comprendere meglio le basi della planetologia.Dei nove strumenti principali a bordo della sonda, ricordiamo su tutti il Jovian Infrared Auroral Mapper, uno spettroscopio sviluppato dall’INAF sotto l’egida dell’ASI, un progetto tutto italiano, quindi, che si aggiunge all’elenco di dispositivi simili montati sulle sonde Rosetta, Venus Express, Dawn e Cassini.
Un elenco completo e più dettagliato del carico scientifico della sonda è disponibile sul sito dell’università del Winsconsin oltre a che in un documento tecnico del JPL.

Data l’intensità della radiazione presente intorno la pianeta, l’orbita della sonda sarà molto elongata e la porterà vicino a i poli ma molto lontano dall’equatore. Gli strumenti inoltre sono protetti da una barriera in Titanio spessa circa 8 millimetri, alcuni di questi inoltre dispongono di una ulteriore protezione in Tungsteno o Tantalio. I pannelli solari, invece, vista la loro posizione, saranno danneggiati in maniera seria dalla continua esposizione alle radiazioni. La potenza nominale dei generatori fotovoltaici , una volta in orbita intorno a Giove, sarà 486W che probabilmente scenderanno a circa 420W alla fine della missione originariamente prevista (un anno terrestre circa).
Per confronto, ricordiamo che gli RTG della sonda Galileo producevano 570W al lancio – con un decremento di circa 0,6W ogni mese – ma pesavano meno di 16kg, contro gli oltre 700kg dell’impianto fotovoltaico di questa sonda.

La decisione di utilizzare pannelli solari al posto di RTG è giustificata dalla grande richiesta di questi ultimi dispositivi da parte della NASA per altre missione più impegnative dal punto di vista delle prestazioni. Juno si svolge a una distanza relativamente modesta (5 AU) dal Sole, dove pannelli solari di ultima generazione permettono di generare una sufficiente potenza elettrica a fronte di un investimento ragionevole per questa classe di missioni.

Ultimi due ospiti a bordo della sonda, sono una placca prodotta dalla ASI recante due incisioni di Galileo Galilei e tre omini Lego raffiguranti Galileo con il suo telescopio, il dio Giove con il suo caratteristico fulmine e la moglie Giunone con in mano una lente di ingrandimento a simboleggiare l’obiettivo della missione di svelare i segreti sotto le nubi di Giove, come fece la sua omonima nel mito greco.

Altre informazioni sulla missione si possono trovare alla pagina relativa sulla Wikipedia, sul sito ufficiale del progetto e sul canale dedicato su YouTube. Non dimentichiamo inoltre un interessante articolo di Claudia Di Giorgio sul sito di Le Scienze.


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