Meno rumore, grazie


Aperture-iconCapita spesso, leggendo libri o consultando siti che trattano fotografia e tecniche collegate, di rimanere frustrati nel leggere quello che sembra un complicato setup necessario per ottenere qualsiasi tipo di scatto professionale, tra filtri, treppiede, foto di prova e via dicendo.
Premetto che io sono un grande estimatore dei fotografi professionisti, non critico per niente la loro tecnica, ma anzi ammiro la loro capacità di fare arte con un mezzo che negli anni è stato banalizzato prima con le macchine fotografiche usa e getta, ora con le fotocamere digitali integrate nell’iPhone e nei suoi cugini.

Detto questo, personalmente trovo che nella stragrande maggioranza dei casi, la fotografia sia il cogliere un momento specifico che a volte dura una frazione di secondo e che non si ripeterà. Ritengo che un fotografo amatoriale con una dotazione media – non necessariamente costosa o complicata – possa fare degli scatti decenti ricorrendo al buon senso e a un minimo di pratica.
In questo post vorrei dimostrare la fondatezza della mia opinione, trattando come esempio una tecnica abbastanza semplice e piuttosto efficace, ovvero la riduzione del rumore tramite mediazione di immagini multiple (avrà un nome meno verboso che io non conosco?).
Con un esempio pratico mostrerò come ottenere un risultato discreto in condizioni difficili.

Chi si occupa di fotografia astronomica, o semplicemente il fotoamatore che non resiste al fascino della notte, sa quanto sia difficile fotografare in condizioni di luce estremamente debole. Raramente però un panorama o un evento notturno si presta all’uso del lampeggiatore, che spesso impone anche una luce irreale e poco gradevole.
Negli anni ’90 avevo scoperto una interessante pellicola, ormai scomparsa dal mercato, la Konica SR-G 3200: un rullino a 3200/36° ISO rintracciabile con una certa facilità sul mercato consumer e sviluppabile anche tramite minilab nei laboratori specializzati Konica (dopo aver spiegato che no, quelle negative che non mi avevano stampato non erano nere: se le avessero impresse, avrebbero mostrato un panorama stellare).
Molti anni dopo, la mia Nikon D40 mostra tra le sensibilità disponibili una modalità denominata HI1 – che nominalmente corrisponde proprio alla 3200 ASA che usavo tanto tempo fa – e che ho usato in questo frangente specifico.

Tutta questa lunga premessa per introdurre il concetto di granulosità, ovvero una visibile mancanza di nitidezza che affliggeva le negative mano mano che si saliva in sensibilità. Una pellicola più sensibile infatti richiede cristalli di fotosensibili di dimensioni maggiori: il risultato netto per una pellicola molto veloce era una stampa poco nitida e otticamente disturbata.
Oggi, i sensori elettronici (CCD o CMOS che siano) mostrano qualcosa di simile, per quanto dovuto a effetti fisici del tutto diversi.
Il compito di questi apparecchi semiconduttori è trasformare la luce incidente in piccole correnti elettriche, che poi andranno a formare la immagine digitale. Tuttavia i sensori non solo reagiscono alla luce che effettivamente arriva dall’obiettivo, ma anche a minuscole correnti spurie, così come al rumore termico e in misura minore, a effetti naturali di natura elettromagnetica. Ovviamente, regolando il semiconduttore a una sensibilità più alta, non solo si può ottenere una immagine anche con luce fioca, ma conseguentemente si ha anche una amplificazione di questi segnali dannosi.
Una soluzione potrebbe essere quella di effettuare una posa a sensibilità inferiore per un tempo più lungo, tuttavia questa tecnica non risolve i problemi. Intanto una posa lunga va eseguita con il cavalletto, in quanto anche un appoggio per il braccio non consente lo scatto a mano libera, secondariamente i problemi elettrici di cui sopra si manifestano comunque, ora in ragione del tempo esposizione elevato. Le pellicole non avevano questo problema, ma a loro volta soffrivano del Difetto di reciprocità.
Insomma il mondo della fotografia non è perfetto.

Nel mondo dell’informatica, la tecnica per ridurre (eliminare è un termine che non è del tutto onesto) il rumore si basa sul concetto della mediazione. Ipotizziamo di effettuare molti scatti identici dello stesso panorama: ci aspetteremmo foto del tutto identiche, ma una volta visualizzate non è esattamente così. Infatti, mentre l’immagine proveniente dall’obiettivo è sempre la stessa, il rumore – che è sostanzialmente casuale – dà un effetto di grana che cambia di scatto in scatto, come nei due esempi che seguono.

Dettaglio Originale A

Da confrontare con

Dettaglio Originale B

Vedete che, mentre l’immagine fotografata è la stessa, le “macchie” colorate – fatte di pixel che non hanno reagito a un vero raggio di luce incidente, ma a rumore spurio – cambiano nei due scatti.
Potendo mediare i pixel di molte immagini, ecco che l’immagine si rafforzerebbe mentre il rumore si indebolirebbe diventando sempre meno visibile.
L’informatica qui ci da un aiuto enorme: infatti, una volta preso un gruppo di immagini digitali, la mediazione dei singoli pixel è una operazione letteralmente elementare per un calcolatore.

Ora qualche nota tecnica prima di continuare.
Ho effettuato il test scattando 10 fotografie in sequenza usando una Nikon D40 con obiettivo Nikkor AF-S DX 18-105 G ED VR.
Ho sempre usato il modo a priorità diaframmi, scattando a f/3,5 per sfruttare la massima luminosità consentita dall’obiettivo. L’esposimetro ha regolato sempre tempi fra 1/4, 1/5 e 1/2,5 di secondo. Non ho usato treppiede, ma mi sono solo appoggiato a un parapetto.
Da questi pochi dati tecnici capite che un risultato del genere si poteva ottenere più o meno ovunque e in qualsiasi momento: anche in gita serale in una città lontana, senza attrezzatura speciale, tempo o preparazione specifica.

Ho salvato le immagini in modalità Jpeg fine: di nuovo, anche se qualche purista storcerà il naso, vedrete che il risultato non è compromesso dal fatto di non avere usato un formato RAW.
Dopo aver passato gli scatti al computer, ho usato Adobe Photoshop per effettuare la mediazione degli scatti. Non intendo che sia necessario un software costoso e complicato come PS per una operazione del genere: molti altri software commerciali e non possono dare lo stesso risultato. Per ovvie ragioni di tempo e spazio, mi sono limitato a un software, il lettore potrà adattare la tecnica ai comandi del programma preferito.
Dopo aver caricato tutte le foto in uno Stack, PS è in grado di procedere automaticamente all’allineamento degli scatti, operazione utilissima in un caso come questo in cui la mancanza del cavalletto influisce sull’orientamento.
Ultimo passo è utilizzare gli Smart Objects sullo Stack usando la funzione media o mediana.

Usando la funzione media i singoli pixel delle varie immagini vengono mediati aritmeticamente uno con l’altro. La mediana, invece, opera posizionando le intensità dei pixel in grafico (che assomiglierà a una gaussiana) ed estraendo il valore vicino al picco. Il metodo che restituisce il risultato migliore dipende dal contesto, ed è opportuno provarli entrambi. Come norma generale, la media è più appropriata quando il panorama è del tutto statico, mentre la mediana elimina efficacemente le differenze tra le fotografie (per esempio i fari di un’auto che si muovo in alcuni degli scatti).

Adesso basta parole ed ecco il risultato delle operazioni di mediazione.

Risultato finale

Ora una versione ritoccata per attenuare la colorazione gialla – che alcuni trovano sgradevole – provocato dalle lampade al sodio (solo incidentalmente ricordo che i lampioni al sodio a bassa pressione sono i più efficienti e i meno inquinanti per il cielo, permettendo ancora di osservare le stelle – almeno le più luminose – anche in città. Tutti i comuni dovrebbero convertirsi a questo tipo di illuminazione.).

Risultato finale con colore

Naturalmente il rumore non è sparito: è ancora abbastanza evidente in un ampia zona uniforme come il cielo grigio. Tuttavia è altrettanto  evidente il notevole miglioramento nella qualità dell’immagine.
Ovviamente c’è ampio margine di miglioramento: per esempio un supporto stabile per la macchina avrebbe permesso pose un poco più lunghe catturando più luce e fornendo un risultato cromatico migliore, anche se il rumore sarebbe stato maggiore. Il problema si sarebbe potuto eventualmente aggirare aumentando ancora il numero di scatti da mediare.
Altro grosso problema sono le ombre: se notate, nella foto sopra tutte le parti in ombra sono delle macchie nere molto sgradevoli. Questo problema si potrebbe evitare usando la tecnica del High Dynamic Range da sola o anche in combinazione con la mediazione degli scatti.
Ognuna di queste riflessioni meriterebbe una ulteriore discussione a parte, ma lascio la lettore il piacere di sperimentare da solo.

Molti ancora snobbano il digitale ed esaltano la superiorità della pellicola fotografica, tuttavia è innegabile che la fotografia digitale permetta l’applicazione di tecniche sofisticare come questa con una semplicità estrema.
Oltre a questo, penso di aver mostrato come tecnologie sofisticate e lunga preparazione possano essere soppiantate da un minimo di pratica e molto buon senso, permettendo quindi anche al fotoamatore di scattare anche in condizioni difficili pur senza sacrificare il risultato finale.


6 risposte a “Meno rumore, grazie”

  1. Grazie.
    Articolo veramente interessante, mi ha dato diversi spunti di riflessione.
    Naturalmente da veramente newbie nel campo della fotografia e informatica in senso professionale.

    Proverò con The Gimp ad usare questa tecnica di mediazione o mediana-zione di immagini multiple unita all’HDR manuale.

  2. Bravo Luca, molto interessante!
    Vedo se riesco a fare la stessa cosa con GIMP. Come si chiama (possibilmente in inglese) la funzione di PS che hai utilizzato?

  3. Articolo molto interessante e con una tesi condivisibile.

    Rimane comunque il fatto che una macchina fotografica con un’ottica e meccanica di alto livello ti permettono di “cogliere il momento specifico” in maniera più rapida ed efficace in quanto riescono a catturare più luce in meno tempo e quindi di cogliere anche espressioni o movimenti che durano solo qualche attimo.

    Essere geek però è molto più divertente 😉

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