Tenete accesi i dischi SSD


Alcuni esperimenti di laboratorio hanno rivelato che i dischi SSD spenti possono iniziare a perdere dati prima del previsto, di sicuro molto prima degli analoghi a piatto rotante.

La capacità di mantenere integri i dati registrati si chiama tecnicamente data retention.

Quello che viene garantito nero su bianco dalle case produttrici è, naturalmente, molto prudente.

Le specifiche del Samsung 840 Pro Drive [PDF] a pagina 5 nella sezione della garanzia garantiscono 3 mesi di data retention:

SSD Samsung

Anche Seagate nelle specifiche del modello 600 Pro [PDF] cita 3 mesi, ma è più specifica nell’indicare che la data retention può ridursi ad alte temperature o in caso di dischi utilizzati molto:

SSD Segate

Come le altre, Intel nelle specifiche della serie DC S3700 [PDF] indica 3 mesi e accenna ai fattori di usura e temperatura:

ssdintel

Quindi sulla carta se tenete spento il vostro SSD per più di tre mesi non c’è nessuna garanzia che voi possiate ritrovare i vostri dati. Ovviamente le aziende sono molto conservative su questi numeri e ci si può aspettare una retention maggiore a dispositivo spento.

In una presentazione di Alvin Cox del JEDEC [PDF] nella slide 27 ci sono due belle tabelle che riportano il numero di settimane di data retention per i dischi Intel di classe consumer (tabella superiore) ed enterprise (tabella inferiore) in funzione della temperatura (i numeri sono evidenziati in verde nell’originale):

temperatura SSD

Come si può vedere, le settimane di retention a dispositivo spento variano molto in base alla temperatura di esercizio e a quella di stoccaggio e i dischi di classe enterprise non sono pensati per mantenere i dati una volta staccata la corrente.

Quando i siti o le riviste presentano i dischi SSD eseguono i test più facili e veloci e quelli che tendono ad impressionare il pubblico. Altri tipi di test, come questi, richiedono un tempo e un impegno che le riviste o i siti non hanno (più).

Queste informazioni sono normalmente poco rilevanti in questo momento perché la tecnologia SSD è nuova e uno non compera certo un disco allo stato solido per tenerlo spento.

Ma fra un po’ di tempo, con l’avanzare della tecnologia, potrebbe succedere che qualcuno decida di acquistare un’unità esterna SSD per i backup o per lo stoccaggio dei dati a lungo termine. Ad esempio un privato potrebbe decidere di salvare su un SSD le foto e i filmati di famiglia. Anche se quella persona fosse assennata, avesse letto questo articolo e avesse deciso di conservare il supporto in frigorifero, la data retention sarebbe comunque di gran lunga inferiore a quella di un dispositivo a piatto rotante.

Nelle grandi aziende spesso i computer vengono tenuti in quarantena anche per lungo tempo se i dati registrati sono importanti e il titolare dell’apparecchi ha cessato il rapporto di collaborazione. In questo caso, un backup del disco sarebbe opportuno (NO! non su un altro disco SSD!).

C’è un ultimo (ma non ultimo) problema: l’analisi forense.

I computer sequestrati possono sedere nell’Ufficio Corpi di Reato per dei lunghi mesi e nessuno pensa sicuramente a mettere il computer sequestrato in un luogo fresco, anzi spesso quegli uffici d’estate sono dei forni.

Se gli investigatori o i consulenti di parte sono a conoscenza della presenza di un sistema SSD all’interno del materiale sequestrato è bene che eseguano un’immagine forense quanto prima.

Un SSD acceso non soffre di questi problemi, ma per il momento questa tecnologia non deve essere utilizzata per registrare dati a lungo termine su dispositivi spenti.


10 risposte a “Tenete accesi i dischi SSD”

  1. Guardando la tabella proposta nell’articolo mi interessa lo studio del prodotto consumer, in quanto i pc di casa non stanno accesi 10 ore al giorno, ma forse due o tre la sera se va bene.

    Accettando il fatto che la temperatura esterna a pc spento non sia di 30 gradi, a meno che io non viva in Sicilia, ma di 25 o 20 (che in tabella nemmeno si vede, teniamo buona la 25 anche se è eccessiva), considerando la temperatura media di 40 gradi per il disco in attività, anche se in forte utilizzo di lettura/scrittura si arriva tranquillamente a 50 gradi, trovo ben 105 SETTIMANE di data retention, equivalente di 735 GIORNI, equivalente di 2,01 ANNI.

    Il commento relativo al data retention di 3 mesi citato per Seagate, se leggi bene l’articolo, fa riferimento allo stoccaggio di un ssd UNPLUGGED a 40 gradi (nel forno??!!) e la tabella riportata qui sopra effettivamente dà 14 settimane (sull’utilizzo a 40 gradi), cioè 3 mesi e mezzo. Generalmente i nostri ssd sono sempre PLUGGED, dovrei controllare se le funzioni del BIOS UEFI che si monta adesso prevede una sorta di prevenzione di data retention (ad esempio di recente sono state integrate le funzioni di deumidificazione dei componenti hardware, ciò significa che il pc decide in vari momenti della giornata di accendersi da solo in una modalità silenziosa per alzare le temperature per brevi periodi per mantenere asciutti i componenti).

    Ora, considerando che il contatore di data retention si azzera ogni volta che il disco viene movimentato, se riesci a trovare un soggetto che per 2,01 ANNI non accende il pc di casa, vuol dire che o non gli serve proprio a niente o che l’ha dimenticato in un armadio!!!!!

    E’ più interessante una analisi sul deperimento giornaliero di una banana chiquita, almeno gli effetti a lungo termine (tre mesi max) sono visibili e constatabili da ognuno di noi!!

    • Con ordine.

      Tecnicamente “unplugged” significa “non alimentato”. Anche perche’ se un dispositivo e’ “plugged” e non arriva corrente non conta molto lo stato di “plugged”.

      Il mio discorso e’ rivolto piu’ che altro ai PC aziendali e ai PC sequestrati. L’ultima volta che sono stato in pieno agosto in un Ufficio Corpi di Reato di una grande citta’ c’era un caldo atroce e utilizzavano un ventilatore (oggetto di sequestro, con tanto di cartellino) per mitigare la temperatura.

      Tutto il discorso sottende comunque un concetto: a parita’ di condizioni ambientali i dischi SSD hanno una data retention inferiore ai dischi a piatto rotante. E questo e’ un fatto.

      Per il deperimento giornaliero delle banane puoi rivolgerti ai siti di economa domestica, non e’ questo il blog che stai cercando 😛

  2. scusate, non sono sicuro d’aver capito bene.
    emerge abbastanza chiaramente che a disco spento la temperatura fa accorciare il periodo di data retention (non me ne stupisco…il calore è genericamente un nemico delle apparecchiature elettroniche).
    Ma la “active temp”?? E’ la temperatura di esercizio quando il disco è acceso? Perché fa aumentare la durata dei dati? Non lo capisco.

    PS: le considerazioni qui fatte valgono (che so) anche per le chiavette USB o microsd e simili? oppure la tecnologia è sostanzialmente diversa da quella dei dischi a stato solido?

    PS2: ed eventualmente, basta accenderlo un minuto un disco per azzerare l’effetto negativo dell’essere stato spento a lungo? (cioè, se tengo un disco spento 30 settimane, lo accendo un’ora, e poi lo rispengo, ciò ha un effetto positivo sulla conservazione dei dati o meno?)

    grazie per il blog, lo leggo sempre con interesse 🙂

    • Domande interessanti a cui non ho risposte certe, anche gli amici che lavorano nel settore non hanno dati sufficienti.

      A naso la temperatura elevata di esercizio favorisce i processi chimico-fisici di scrittura. Anche se sono componenti “digitali” le memorie NAND si basano su un valore del tutto analogico (la corrente di soglia) che stabilisce se la cella valga 0 oppure 1.

      Per la durata dello stato di power-on per il refresh non ho trovato dati.

      Non credo valgano anche per le chiavette USB questi valori. Sebbene aiano tutte memorie flash, presumo ci siano elementi costruttivi differenti, che spiegano anche la differenza di comportamento tra SSD consumer-grade ed enterprise-grade.

      La tecnologia e’ davvero ancora giovane per potere avere dati affidabili e queste sono prove che costano
      .

      • La temperatura elevata favorisce i fenomeni fisici che permettono lo spostamento (indesiderato) del valore di soglia che discrimina lo 0 da 1 più è alto il numero di cicli di scrittura, cancellazione minore è il tempo di ritenzione.
        La tecnologia delle Flash (NAND e NOR) non è giovane: la fisica alla base del loro funzionamento è ben nota prima ancora che fosse tecnicamente possibile fabbricarle.
        Con l’avanzamento della tecnologia, sfruttando al massimo lo scaling litografico e la tecnica del multilivello, sono aumentati gli effetti secondari che limitano il funzionamento della memoria e diminuiti i margini.
        Per far fronte a ciò sono stati introdotti degli algoritmi in grado di rilevare alcune classi di errori di lettura e monitorare lo stato della memoria, ma questi funzionano solo se la memoria è alimentata.
        Inoltre, è vero che la prudenza non è mai troppa, ma i dati delle due tabelle Intel si riferiscono alla ritenzione in condizioni di fine vita

  3. grazie Luigi. che dire: incrociano le dita e facciamo backup su supporti magnetici o ottici intanto 🙂

    • Magnetici, e in duplice copia se tieni davvero ai tuoi dati.

      I supporti ottici attuali fanno schifo, ho visto piu’ di un supporto ottico rotante cadere in verticale e aprirsi in due, per non parlare di quelli illeggibili.

  4. Ho un portatile Netbook su cui avevo messo un disco SSD (Sandisk da 120 GB modello SDSSDA-120G)… ma essendo un Atom l’ho abbandonato per la troppa lentezza.

    L’ho riacceso oggi dopo 16 mesi, pensando che avesse perso tutto… e non ha perso nessun dato, Windows 10 si è caricato senza problemi (a parte la lentezza dovuta al processore alla ciofeca di SSD 🙂 )

    Chiaro non è stato esposto a temperature critiche mentre era spento… le normali temperature ambientali (considerando che qui in Sardegna fa caldo ho la fortuna di avere cmq l’ufficio relativamente fresco)… però forse la situazione della ritenzione dei dati non è poi così critica come si potrebbe immaginare.

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