(Versione aggiornata a seguito di una segnalazione)
Qualche giorno fa un mio contatto su Facebook (ps: grazie Dario) ha pubbllicato una foto presa dalla vetrina di una pizzeria milanese (che è meglio non nominare per evitare di far loro pubblicità).
La foto ritrae un cartello che dichiara che in quella “struttura è vietato l’ingresso Agli Utenti di TRIPADVISOR” in quanto, letteralmente, “Siamo qui per lavorare BENE al 100%… non per subire le FRUSTRAZIONI di Utenti di tale portale Web Per tanto siete pregati di sfogare la vostra rabbia interiore e il vostro malessere altrove“.
Tralascio l’italiano, un po’ carente, perchè preferisco focalizzare la mia attenzione sull’assurdità dell’intero messaggio, che molto probabilmente è stato incollato su quella porta con il solo scopo di farsi un po’ di pubblicità e, magari, attirare quella clientela snob che non capendo la tecnologia, nonostante la usino assiduamente, trovano molto più figo criticarla in continuazione, esaltando i movimenti e i grandi pensatori che la demonizzano.
Innanzitutto mi piacerebbe sapere come questi simpatici giullari della ristorazione milanese possano mettere in pratica questo loro innovativo divieto, partendo dal primo dubbio amletico: cosa significa per loro essere un utente di TripAdvisor? Bisogna avere un account o basta averlo usato per trovare qualche ristorante?
E come pensano di individuare questi pericolosissimi clienti? Verificano gli smartphone e i computer di tutti coloro che entrano nella “struttura” o, magari, si limitano alla semplice domanda diretta: “sei un utente di TripAdvisor“?
E qualora riuscissero a individuare uno o più elementi di questa temutissima setta, cosa farebbero? Li caccerebbero uno a uno dal locale? E lo farebbero anche se quel locale lo avessero trovato proprio grazie a TripAdvisor?
Siamo seri… non credo che vogliano fare nulla di simile, ma non perchè non gli sarebbe consentito dalla legge, ma perchè sarebbe assolutamente controproducente per loro stessi. Magari potrebbero fare un po’ di scena con qualche singolo o coppia, sempre che ci sia qualcuno che possa immortalare la cosa e metterla su qualche social, minimo indispensabile per far parlare di loro. Ma certo non sputerebbero sull’incasso di una cena proveniente da un eventuale folto gruppo di utenti/clienti, soprattutto nelle giornate meno frequentate… insomma… “solo chiacchiere e distintivo” (cit.)
Ma a parte questo, l’aspetto certamente più ridicolo lo si trova nella “spiegazione” che accompagna questa affascinante campagna e in particolare la prima frase: “Siamo qui per lavorare BENE al 100%“.
Già. Ma se sei veramente convinto di lavorare BENE (a loro piace metterlo maiuscolo, nda), perchè hai paura dei giudizi dei tuoi clienti? Forse perchè in passato hai ricevuto recensioni sfavorevoli e non hai saputo come controbatterle perchè forse avevano ragione?
E, a seguire, è altrettanto ridicolo il voler colpevolizzare il cliente bollando l’eventuale esperienza negativa come “FRUSTRAZIONI di Utenti” (anche qui il maiuscolo è bellissimo, nda), con l’intento di far passare un messaggio semplice quanto chiaro: un cliente è insoddisfatto non per la qualità del cibo o per il servizio che gli sto offrendo, ma perchè lui ha problemi nel gestire la propria rabbia ed il proprio malessere.
Complimenti.
Ma la verità è un’altra e la si intuisce facilmente perchè è qualcosa che incontriamo piuttosto spesso in tutti coloro che vedono il “digitale” come una minaccia al proprio orticello e in tutti coloro che sono ancora, fin troppo, profondamente analogici e forse puzzano di vecchio. Si tratta della paura della “valutazione”, il terrore dei “feedback”… il panico provocato dal vedersi giudicati dai propri clienti.
Esatto, dai propri clienti. Non da una giuria di esperti o da un pubblico estraneo, ma da quei clienti a cui si dovrebbe fornire il servizio per il quale si viene pagati.
Non sono i soli, ammettiamolo. Tutti coloro che si trovano a dover interagire con il pubblico sono ben consci che un eventuale comportamento negativo verso il cliente possa essere giudicato dallo stesso non più all’interno di una stretta cerchia di amici, ma a livello globale e che la memoria di Internet (a differenza di quella dell’acqua, nda) esiste ed è incredibilmente reale. E quando le esperienze negative non si limitano ad uno, due o tre casi ma sono costanti c’è il pericolo che si possa compromettere la propria attività, qualunque essa sia.
Ma al posto di reagire cercando di usare le critiche per migliorarsi, per crescere magari attirando nuova clientela, ecco che qualcuno pensa di combattere il progresso, chiudersi a riccio nel proprio piccolo. E questo divieto è la dimostrazione di questo atteggiamento.
E pensare che TripAdvisor potrebbe essere criticato per molti altri motivi, come ad esempio per la mancanza di un sistema di controllo che verifichi se le strutture siano o meno ancora attive o la presenza di commenti falsi, siano essi positivi o negativi, comperati da società specializzate nel business del feedback fasullo col fine di promuovere o combattere uno o più locali.
E invece no, gli ideatori di questo ridicolo cartello non se la prendono con TripAdvisor, ma con chi lo usa e che, in qualità di cliente, pretenderebbe un servizio.
Già… clienti che osano pretendere un servizio. Che vergogna!
Aggiornamento, 13:10 del 22 Luglio 2015
Qualcuno (grazie Cristina) mi ha fatto notare che di un cartello simile a Brescia ne aveva parlato Yahoo oltre un anno fa, intervistando il proprietario della pizzeria che lo aveva esposto. La cosa incredibile è che lui non ce l’aveva su con gli utenti, ma con il servizio di TripAdvisor… In questo caso, allora, non posso che aggiungere un ulteriore punto di sconforto nel vedere che per mandare un messaggio a qualcuno si attacchino i propri utenti, quasi insultandoli.
Il fatto che questo cartello sia stato fotografato in un locale a Milano, e considerandone la tipologia (non certo fatto a mano), credo che l’idea del ristoratore di Brescia abbia fatto, purtroppo, venire in mente a qualcuno di produrlo e, magari, rivenderlo.
E poi dicono che Internet non genera business…
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