Ebbene sì, è tornato il momento di parlare di nucleare civile. La recentissima decisione della Cassazione e della Corte Costituzionale e la relativa scheda grigia nel referendum di Giugno, mi danno le motivazioni e lo spunto giusto per riprendere il discorso.
Pur consapevole del fatto che sarò probabilmente oggetto di critiche per quanto andrò a scrivere, non mi sento di lasciare che il qualunquismo e i discorsi da bar degli ultimi giorni abbiano la meglio sulla ragionevolezza e sulla realtà, cercherò quindi di proseguire un po’ sul discorso nucleare basandomi il più possibile su fatti accertati e non sulla emotività.
Come al solito, non ho la presunzione di indicare la via o di imporre idee – come sfortunatamente fanno alcune associazioni ambientaliste e politiche – ma mi pongo solo lo scopo di presentare un punto di vista diverso al lettore su cui spero vorrà riflettere per suo conto.
Partiamo quindi da questa decisione che è particolarmente deleteria – e lo è indipendentemente dalla parte politica in cui ci si identifica o dall’opinione che si ha sul nucleare.
Infatti il motivo per sospendere questo referendum – a parte ipotetiche manovre politiche – è semplicemente uno di ragionevolezza: non fare una domanda delicata quando c’è in ballo non la razionalità ma l’emotività.
Come spiegato qualche settimana fa dallo storico Sergio Romano sul Corriere della Sera, non si può pensare di chiedere ai cittadini di esprimersi su un argomento tanto delicato – e su cui per di più noi siamo già particolarmente carenti – come il futuro energetico del Paese nel medio termine senza considerare come l’opinione pubblica sia emotivamente compromessa da un incidente e da una situazione che non siamo in grado di valutare razionalmente.
Nei recenti discorsi con i conoscenti, alla mia affermazioni di intenzione di voto per il no sul nucleare, nella maggior parte dei casi sono stato guardato come se non fossi in possesso delle mie facoltà mentali. Alla domanda di spiegazioni e a qualche mia risposta tecnica sul nucleare civile, di solito l’interlocutore cerca di chiudere il discorso con «Come, con quello che è successo in Giappone?!».
Ecco il punto: su Fukushima senz’altro si ritornerà in futuro, spesso – e sicuramente avremo modo di farlo anche in questo blog – ma al momento attuale, che conclusioni ne abbiamo tratte, e cosa ne ha percepito il grande pubblico?
Disastro?
Fukushima è stato un disastro?
Senz’altro un disastro industriale, infatti l’impianto è stato seriamente danneggiato: nei primi giorni sembrava che il danno fosse solo parziale, tanto che io avevo ipotizzato la possibilità di una ripresa delle operazioni nella centrale. Non è e non sarà così perché il danno è stato molto più esteso di quello che sembrava inizialmente, soprattutto a causa dei gravi danni alle piscine di raffreddamento, problema sconosciuto nei primissimi giorni.
E’ stato un disastro ambientale?
Dipende da come lo si voglia interpretare: senz’altro c’è stato un rilascio di materiale radioattivo, tuttavia questa osservazione non è sufficiente a decretare lo stato di calamità. Non facciamo qui un’altra disquisizione sulla contabilità di radiazioni, ma mi limito a ricordare che la radioattività rilasciata va sempre comparata con la onnipresente radioattività naturale di fondo e con il resto delle emissioni non provenienti dal nucleare civile dedicato alla produzione energetica.
Va inoltre analizzata a seconda della distanza dall’impianto, dalla capacità di essere assorbita dall’ambiente o dal corpo umano. I giornali sono stati spesso imprecisi nel riportare le notizie: non solo sbagliando in maniera esagerata (anche confondenti i milli- con i micro-, in qualche caso), ma non hanno dato al lettore un confronto ragionevole a cui rapportarsi. Ricordiamo anche che i materiali radioattivi, a differenza di molti altri inquinanti, hanno un tempo di dimezzamento che ne riduce la pericolosità nel tempo. Come fonte di informazione, oltre a ricordare il solito sito della IAEA, aggiungo anche un interessante rapporto stilato del MIT che può essere liberamente scaricato in formato PDF a questo link.
Quando valutiamo gli incidenti industriali, oltre a pensare al pericolo delle radiazioni, dobbiamo considerare tutti gli altri fattori: gli incidenti sulle piattaforme petrolifere, solo per citare un recente caso, hanno effetti sull’ambiente non di breve durata e non di lieve entità.
Stessa cosa dicasi per incidenti che coinvolgono la chimica e spero che sia sufficiente da parte mia citare Bhopal e Seveso per far venire più di un dubbio al lettore a proposito sugli effetti degli incidente industriali, di ogni tipo.
Valutazioni analoghe le possiamo fare sul costo umano: siamo giustamente preoccupati per gli effetti al ungo termine dell’esposizione alle radiazioni, ma non dimentichiamo anche qui il buon senso. Non ogni tipo di radiazione a ogni livello di esposizione uccide o rende più probabile l’insorgenza di un tumore e innumerevoli studi dimostrano come le polveri sottili o il fumo o l’inquinamento chimico siano cause molto più pericolose dell’aumento della possibilità di contrarre tumori. Prima di preoccuparci del nucleare, dovremmo smettere tutti di fumare e sostituire gli impianti di riscaldamento delle nostre abitazioni con pompe di calore alimentate a elettricità proveniente da fonti con emissioni basse (l’emissione nulla o impatto zero sono slogan utopistici dietro cui i sedicenti ecologisti si nascondono con poca o senza cognizione di causa).
Altri incidenti relativi alla produzione di energia elettrica hanno coinvolto migliaia di vittime senza che nessuno si sognasse di mettere in dubbio la validità della tecnologia in generale, il fatto che questo succeda con il nucleare è una evidenza del fatto che, su questo argomento, il sentire comune è condizionato dalla pancia, non dalla testa.
Cito solo un esempio a noi vicino: in seguito al disastro del Vajont sono decedute circa 2.000 persone in un colpo solo e una vallata intera è stata ridotta un deserto di macerie, tuttavia nessuno ha minimamente pensato di mettere in discussione l’energia idroelettrica o le dighe, in quanto sono viste come relativamente verdi. A parte il discorso puramente umano, ricordiamo di nuovo che la costruzione di una diga è un progetto che ha alti costi ambientali, a partire dalla gigantesca quantità di cemento necessaria (e la conseguente emissione di gas serra, tra le altre cose), passando poi per il danno arrecato a causa della modifica radicale di un ecosistema (vedi per esempio l’effetto della diga di Assuan sul Nilo) per finire poi al famigerato decomissioning che non sarà certo indolore, per esempio, quando in Cina sarà necessario rimuovere la Diga delle Tre Gole.
Per sommi capi, questo è solo uno spunto di riflessione per invitare il lettore a mettere in prospettiva non solo la produzione di energia nucleare, ma la produzione di ogni tipo di energia.
Altro tema caldo, è la decisione della Germania di prendere le distanza dal nucleare.
Molti giornalisti hanno superficialmente affermato che la Germania sta rinunciando al nucleare tout-court, ma pochi commentatori si sono fermati a riflettere un attimo e a spiegare effettivamente come si configura la manovra politica. La Cancelliera tedesca, infatti, si è espressa in un equilibrismo politico che non è da tutti, ma è che logico e lineare: il suo consenso è in ribasso, l’opinione pubblica è rimasta colpita dell’incidente in Giappone. Detto questo il modo veloce per riprendere consensi era fare una dichiarazione buonista che si può semplificare in “diciamo di voler eliminare il nucleare e ampliare il rinnovabile”.
Come prima cosa, posticipare la chiusura delle centrali al 2022 è il modo più semplice per lasciare che l’opinione pubblica si calmi e per permettere a chi verrà dopo di lei di ribaltare al sua decisione se necessario. Incidentalmente notiamo che questo è esattamente il metodo che i politici usano per rimandare all’infinito l’esplorazione spaziale umana, e negli ultimi 40 anni a funzionato perfettamente.
La Merkel, come prima cosa, ha assicurato la suo paese almeno altri 11 anni di approvvigionamento dal nucleare, senza vincolare troppo i suoi successori che, valutando nel momento opportuno le necessità energetiche del Paese, potranno decidere se effettivamente si potrà continuare senza nucleare o se forse sarà il caso di rivedere la politica energetica di nuovo.
Vi ricordo, en passant, che – visto e considerato il mix energetico attuale nel pese tedesco, oltre un ragionevole sviluppo della produzione non nucleare – la Germania potrebbe dover aumentare le emissioni di CO2 tra le 20 e le 30 milioni di tonnellate.
E i verdi esultano.
Complimenti per la coerenza!
La energia nucleare è pericolosa?
Certo che lo è, nessuno – scienziati per primi – dice il contrario.
Il problema è che tutto quello che facciamo è pericoloso e, valutati razionalmente i rischi, il nucleare non è tra le cose più insicure.
Viaggiare in automobile è una cosa pericolosissima da fare, nonostante questo nessuno si sogna di fare una campagna denigratoria dell’automobile e i genitori lasciano uscire i figli al sabato sera quando, guardando le cifre degli incidenti, è evidente che il rischio per loro di uno scontro mortale sia molto più alto rispetto alla possibilità di contrarre il cancro o morire a causa di qualsivoglia radiazione.
Sono cinico?
A me sembra che siano ciniche le persone che usando due pesi e due misure per nominare i morti o i malati che sono derivati sicuramente (o che solo derivano in modo ipotetico) da incidenti nucleari e per quelli che si ammalano per altri motivi. Un morto è un morto, la vita umana ha sempre lo stesso valore e le lacrime dei parenti sono disperate allo stesso modo.
Se è la preservazione della vita umana che ci interessa, allora dovremmo avere altre priorità prima della chiusura della centrali nucleari. Per esempio dovremmo smetterla di andare in giro in motorino, o andare a lavorare in miniera, o attraversare le stare trafficate, o estrarre petrolio o stare in cucina e maneggiare oggetti taglienti.
Emblematico è il atto che nessuno si sogna di smettere di bere caffè, nonostante questa bevanda sia letale. Io onestamente non ho mai visto nessuno di GreenPeace fuori da un bar per protestare contro l’uccisione indiscriminata della clientela.
Le scorie nucleari sono un problema irrisolto?
Può darsi, ma gli altri rifiuti sono un problema risolto, invece?
Cosa ne sarà della CO2 immessa in atmosfera? Anche ammettendo che il cambiamento climatico non sia così disastroso e comunque non sia di origine antropica (su questo c’è molto dibattito al di fuori della visione dogmatica dell’IPCC, ma non è questo il luogo per discuterne), è qualcosa che permarrà sul pianeta nelle prossime migliaia di anni, esattamente come i materiali di origine nucleare.
Le soluzioni di sequestro della CO2 sono molto più fantascientifiche di qualsiasi deposito geologico per i rifiuti nucleari che esisterà e – lo ripetiamo – è una tecnologia dimostrata funzionante non da noi, ma dalla natura sui prodotti di fissione del Reattore Nucleare Naturale di Oklo.
Quanti anni dureranno i metalli pesanti utilizzati nell’elettronica e nelle celle fotovoltaiche di cui andiamo tanto fieri?
La risposta è: molto di più di un prodotto di fissione. E ricordo che i metalli pesanti non perdono la pericolosità negli anni, rimangono velenosi fino alla fine dell’umanità.
Il discorso rifiuti, mi porta anche a ritornare sul famoso decommissioning ovvero la dismissione completa delle centrali nucleari. A parte che, differentemente da quanto dicono alcuni, si tratta di una tecnologia funzionate, per quanto costosa. Questa riguarda non solo le centrali nucleari, ma tutti gli impianti industriali.
Cosa compererà lo smantellamento di un parco eolico o solare? Sono tutti rifiuti da smaltire.
Che dire delle industrie chimiche che rimangono come ruderi postindustriali nelle nostre città e paesi?
Molte sono ancora depositi di sostanze chimiche pericolose o tossiche. Il fatto che nessuno se ne voglia occupare non le rende meno pericolose o meno costose da smaltire del materiale radioattivo.
Non vorrei che da questa analisi emergesse la sensazione di una nostra avversione all’energia cosiddetta verde: tutto il contrario.
Le rinnovabili sono una fonte preziosa di cui dobbiamo senz’altro avvalerci di più.
Tuttavia non dobbiamo dimenticarci che l’energia verde ha la sua parte di inquinamento – anche se non vediamo una ciminiera – e ha svantaggi che vanno messi sul piatto della bilancia. Ad esempio, non possiamo farci illusioni che queste energie possano contribuire al cosiddetto carico base della produzione di energia elettrica. Perché questo questo succeda – se succederà – sarà necessario creare una rete di distribuzione e immagazzinamento di energia con centrali di produzione integrate a livello globale: una cosa del genere, oggi, è molto più fantascientifica di un reattore a fusione nucleare.
Come ultima osservazione, non dobbiamo nemmeno dimenticare che spesso le fonti alternativo sono manipolate da soggetti molto meno che neutrali. Sulle recenti polemiche a proposito degli incentivi alle rinnovabili in Italia c’è il forte sospetto che i soggetti coinvolti siano appunto meno interessati all’ambiente e più interessati ai 170 miliardi di euro (sì, esatto, avete letto bene: 170 miliardi nei prossimi 25 anni) che tutti i contribuenti pagheranno in incentivi tramite la bolletta elettrica.
Allo stesso modo, le forti resistenze che vediamo opposte a soluzioni radicali e senz’altro efficaci come i biocombustibili (agli interessati consiglio l’ottimo libro di Robert Zubrin sull’argomento) sollevano qualche debbio sull’effettivo interesse verso l’ambiente e la salute umana, piuttosto che verso il profitto.
Il lettore si ricordi che dicendo continuamente no al nucleare diciamo di sì, è vero, a un ipotetico e futuribile futuro rinnovabili, ma contemporaneamente diciamo di sì a un sicuro e immediato presente al gusto di gas, olio combustibile e carbone. Non c’è da stupirsi che il no la nucleare sia quindi così be supportato sia in ambito delle industrie energetiche che dalla politica.
E questa non è dietrologia, solo evidenza dei fatti.
Mi avvio a chiusura con una doverosa precisazione: se il lettore è ancora scioccato, stupito e incredulo dalla mia affermazione fatta sopra sulla pericolosità del caffè, allora devo delle spiegazioni.
Non sono di uscito di senno, ho solo esagerato, come si esagera con il nucleare.
E’ evidenza scientifica, infatti, che una dose di circa 20 grammi di caffeina sia sufficiente per uccidere un adulto medio nell’arco delle 24 ore.
Questa dose, come qualcuno di voi avrà intuito è molto alta, qualcosa come 200 tazzine di caffè.
Quindi, un interlocutore ipotetico direbbe, il caffè non ucciderà mai nessuno: non si berrebbero mai tanti caffè in un giorno solo!
2 o 3 espressi, più una lattina di cola e un tè, certamente non uccideranno: è una questione di dosaggio!
Esattamente, è proprio una questione di dosaggio.
Perché è così difficile accettare lo stesso principio per le sostanze chimiche o le radiazioni?
Lascia un commento