La nuova versione 5.1 di VMware introduce nuove regole di licensing.
Non fosse per il “5.1”, la frase sopra potrebbe essere un copia-e-incolla di articoli del passato. Per fortuna, questa volta ci sono buone notizie.
Viene, infatti lasciato da parte il concetto di vRAM, che tanta confusione aveva generato anche tra i professionisti di VMware: si torna ai socket delle CPU.
Il numero di socket è molto più facile da contare (per i commerciali) e da programmare (per l’IT) in fase di progettazione: la RAM (vera o virtuale) è una cosa che si aggiunge con relativa facilità anche dopo mesi (o anni) dall’installazione, mentre il numero di socket è limitato dal’architettura degli host e, specialmente nel contesto SMB, difficilmente si comperano server a 4 oppure 8 vie con dentro solamente una o due CPU.
Questa altalena di scelte mostra quanto sia difficile per chi produce software a larga distribuzione trovare un sistema di licenze che riesca a mediare guadagni (più o meno legittimi), semplicità di gestione, facilità di enforcing e soddisfazione dei cliente finale. Ci sono spesso sistemi legali e legittimi per piegare il metodo di licensing a proprio vantaggio oppure per ottenere molto di più di quello che il produttore voleva concedere.
Lo scorso anno VMware con il concetto di vRAM voleva introdurre una sorta di pay per use basandosi sul fatto che la vRAM fosse un buon indicatore di utilizzo. Purtroppo la scelta, oltre a causare estrema confusione, ha provocato due reazioni non previste: chi aveva la versione 4 (basata sui socket) se la teneva stretta e non pagava l’upgrade alla 5 e si acquistavano pacchetti di licenze per CPU solo per aumentare il pool di entitlement di vRAM.
Alla fine VMware si è accorta del casino e ha rimesso in ordine il sistema di licenze, sperando che questo serva a far passare alla 5 chi ha ancora la 4. Questa è una mossa analoga all’introduzione delle VM in avvio automatico di VMware Workstation 8 per convincere chi aveva ancora il vetusto VMware Server 2.0 ad aggiornare.
Nota amministrativa: questo è l’articolo pubblicato numero mille. 🙂
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