No, non ne è valsa la pena.
Sto rispondendo qui a una domanda che mi ero fatto da solo in un altro post (quando ancora questo blog non esisteva) un paio di anni fa.
Il post allora aveva come argomento la ragionevolezza della chiusura della serie Stargate Atlantis in favore dell’imminente lancio del secondo spinoff della saga: Stargate Universe.
Come tutti sapete ormai, SyFy ha deciso di non rinnovare la serie per la terza stagione e, nonostante non ci siano dichiarazioni ufficiali da parte di MGM, è sostanzialmente certo che la serie sia ormai finita.
E’ arrivato quindi il momento di parlare di nuovo di questo franchise.
Per i non appassionati, dobbiamo forse fare un passo indietro spiegando che questa serie TV rappresenta la terza incarnazione sul piccolo schermo della saga di Stargate.
Iniziata con il film per il grande schermo nel 1994, molto conosciuto anche presso il pubblico non specialistico grazie alla direzione del celebre Roland Emmerich e alla interpretazione di Kurt Russel, la serie è continuata poi in televisione con Stargate SG-1.
Pur senza aver interessato particolarmente il pubblico e la critica nei primi anni, la serie è sopravvissuta per evolvere in un classico di hard science fiction raccontando in maniera ottima l’ipotetica ascesa della civiltà umana da scopritrice casuale dello Stargate a potenza di rilevanza extragalattica, capace di competere con alieni di provenienza ben più antica. Nel corso di 10 anni, SG1 è diventata la serie sci-fi americana di maggior longevità della TV (solo recentemente superata) raccogliendo un buon numero di fan insieme a giudizi molto favorevoli sia di critica che di ascolti.
Per queste ragioni, non solo la serie ricevette un prolungamento da 8 a 10 stagioni alla metà del decennio, ma fu affiancata da Stargate Atlantis con premesse identiche, ambientazioni simili, ma basata in una diversa galassia. Costruita sui successi della serie precedente, Atlantis raggiunse ben presto interessanti livelli di narrazione e dimostrò di saper ben costruire storie con il background impostato dai predecessori.
Dopo 5 stagioni, per motivi che non sono del tutto chiari, ma che probabilmente hanno a che fare con il cachet degli attori, anche Atlantis venne chiusa. Anche questa serie avrebbe dovuto proseguire con film direct-to-DVD con cadenza regolare, come SG1. Parallelamente sarebbe dovuto partire un nuovo spinoff, Universe, appunto.
Il futuro di Stargate sembrava roseo, ma non tutto è andato come doveva.
I due DVD di SG-1 già usciti hanno avuto un discreto successo, ma, mentre il primo aveva il suo senso di esistere come conclusione di una storia lasciata aperta fino alla fine della serie, già il secondo mostrava qualche segno di cedimento riproponendo una avventura poco originale. Al momento non è prevista a breve l’uscita di nessun nuovo DVD per SG-1 e la produzione del promesso film TV sequel di Atlantis stenta a decollare, nonostante la presentazione ufficiale come Stargate: Extinction nel 2009.
Torniamo ora a SGU.
Già dalla visione del trailer, era piuttosto evidente un cambiamento radicale rispetto al resto di Stargate.
Una delle migliori definizioni della serie che abbia letto è una battuta di commento al post di un blog secondo cui il titolo corretto della serie avrebbe dovuto essere Lost Battlegate Atlantica’s Anatomy Voyager, ovviamente un gioco di parole per indicare la sua somiglianza ad altre recenti serie di successo.
Per quanto risibile, in effetti questa battuta mi pare che colga in pieno le mancanze della serie.
Intanto, a differenza dei suoi predecessori, la serie non si basa su una storia o un insieme di storie che si dipanano nel tempo, ma solo un accozzaglia di misteri che vengono trattati per un po’, poi abbandonati, esattamente come faceva Lost e in parte anche Voyager con le numerose meraviglie trovate nel Quadrante Delta, bellamente e rapidamente abbandonate all’arrivo – non di Q – ma dei titoli di coda.
Stargate era – a mio avviso – l’esempio emblematico di una serie TV che, pur rimanendo fedele a una mitologia propria (e molto estesa), riusciva a produrre episodi che stessero in piedi da soli e singolarmente, senza mai dimenticarsi di integrarli in mini archi narrativi e senza mancare ogni volta di aggiungere qualcosa e di rifarsi alla grande storia che sta dietro tutto il franchise.
Già il presupposto di Universe, ovvero che le persone si trovano a bordo della nave senza avere un metodo per capire cosa stia facendo o dove stia andando, è piuttosto ridicolo. Mentre questo plot device poteva andare bene per le prime puntate, è evidentemente stato tirato troppo in lungo per non diventare stucchevole: obiettivamente poteva durare al massimo fino alla pausa di metà della prima stagione.
L’idea di uno schema o un qualche tipo di segnale nascosto nella Radiazione cosmica di fondo è già più intelligente e intrigante, peccato averla tirata fuori quando la serie era sull’orlo della cancellazione!
Mi sembra di essere tornato ai tempi di Enterprise: allora era proprio necessario aspettare le minacce di chiusura per tirare fuori gli Xindi, i Romulani, gli incidenti diplomatici e via dicendo?
E adesso, era proprio necessario aspettare metà della seconda stagione per uscirsene con una idea intelligente?
Per parlare un po’ di Battlestar Galactica, è indubbio che la serie abbia tentato di copiare quel reboot, forse nel puerile tentativo di acquisire una parte della sua audience, resa orfana dalla fine di BSG e dalla cancellazione di Caprica. Si può notare l’ambientazione più cupa, un certo stile di regia, ma soprattutto l’assoluta predominanza dell’estetica sulla sostanza.
Con questa serie ha anche in comune il modo di essere dei personaggi, quasi tutti completamente sopra le righe. Entrambe le serie, per qualche ragione, assolutizzano tutti i comportamenti i umani, così che, quando un personaggio si comporta male, non solo fa una cosa sbagliata, ma diventa l’essenza stessa della cattiveria.
Allo stesso modo ogni azione corretta deve diventare un sacrificio da eroe romantico e non può essere semplicemente un “fare la cosa giusta”.
Nella serie questa caratteristica è, a mio modo di vedere, portata a un tale estremo che i personaggi sembrano tutti schizofrenici: prendete i due protagonisti – Dottor Rush e Colonnello Young – e i loro rapporti come esempio emblematico di questa considerazione.
Per quanto sia stato molto criticato, invece, a me pare che Eli Wallance sia effettivamente l’unico personaggio normale e in linea con i canoni di Stargate. Senza dubbio un po’ stereotipato nei suo modi e nell’essere tipicamente Geek (o quantomeno, quello che il geek è nell’immaginario collettivo), ma alla fine potrebbe essere tranquillamente un giovane incrocio fra Daniel Jackson e Rodney McKay e si inserisce in quella casella, tipica delle precedenti incarnazioni di Stargate.
I rapporti tra i personaggi sono veramente a livello di Grey’s Anatomy, fra tradimenti, ripicche e gelosie non solo a bordo della nave, ma anche sulla Terra.
Sì, perché uno strumento narrativo molto interessante come le Pietre – che in SG-1 avevano svolto un ruolo così utile e fantascientificamente credibile nell’avvio della storia riguardante gli Ori – qui diventano solo uno sciocco modo per contattare casa e per raccontarci storie talmente personali e irrilevanti per questo tipo di produzione, che francamente non potrebbero interessarci di meno.
Onestamente non è chiaro come gli autori e i produttori di Stargate potessero aspettarsi una fine diversa per questa serie: SGU semplicemente rinnega tutto quello che Stargate ha costruito negli ultimi 15 anni e ne fa uno spinoff del tutto diverso, con nessuna delle caratteristiche delle altre due serie.
Non è una sorpresa che i fan di lunga data della serie non si siano affezionati e non si siano ritrovati in questa produzione, così come era impensabile – e onestamente poco logico – aspettarsi di attrarre un pubblico diverso. Se il ragionamento dietro questa serie era quello di sommare aritmeticamente i fan di Stargate con i fan di un tipo diverso di fantascienza, questa è la dimostrazione che, anche in TV, 2+2 raramente fa 4. Infatti qui ha fatto 0.
La serie ha solo finito per scontentare il primo gruppo e non appassionare il secondo.
Un bel risultato, non c’è che dire: si spera solo che nel grande mondo della TV americana, qualcuno si stia ponendo delle domande e stia facendo un minimo di autocritica.
E dopo tutto questo, speriamo di poter presto vedere ancora una nuova incarnazione di Stargate in TV, non un collage come questo, ma una serie che sia fedele a quello che i Gaters hanno mostrato di apprezzare dalla metà degli anni ’90 in poi.
Semplicemente della buona fantascienza.
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