Il 10 Giugno scorso Umberto Eco ha ricevuto la Laurea Honoris Causa in Comunicazione e Cultura dei Media dell’Università degli Studi di Torino e, a seguire, ha incontrato i giornalisti parlando tra le altre cose del rapporto tra giornalismo e la rete.
Molte fonti hanno voluto “sintetizzare” il contenuto di questo incontro riportando solo ed esclusivamente questa sua frase:
(twitter, nda) da diritto di parola a legioni di imbecilli
e, com’era facilmente prevedibile, quelli che l’hanno inserita nel titolo hanno raggiunto lo scopo di farsi un po’ di sana pubblicità generando nello stesso tempo una incredibile polemica in rete che in alcuni casi ha raggiunto livelli di assurdità allucinanti soprattutto se si considera che il tutto è partito da una sola frase che non solo è stata decontestualizzata, ma è spesso stata riportata male.
Tutto questo, a mio parere, non fa altro che confermare proprio quelle stesse parole dette da Umberto Eco.
E si, perchè quelle parole le ha proprio pronunciate, ma lo ha fatto all’interno di un discorso piuttosto articolato e completo, discorso che sono convinto che la stragrandissima maggioranza di quelli che hanno commentato quella frase non hanno minimamente ascoltato… anzi, probabilmente si sono solo fermati proprio a quella specifica frase, ignorando totalmente il resto. E si che bastava fare una piccola ricerca in rete per trovare il video integrale dell’intervento.
Ed è proprio per questo che io non posso che schierarmi con Umberto Eco perchè quello che ha detto non è solo giusto, ma è più che sacrosanto ed è bene o male quello per cui mi batto da qualche anno.
Ma andiamo per gradi.
La prima domanda che si sente nel video porta Umberto Eco a trattare il discorso delle bufale in rete in questo modo: “[…] il grande problema della scuola di oggi è come insegnare a filtrare le informazioni di internet cosa che nemmeno i professori sanno fare […] perchè anche loro sono dei neofiti rispetto allo strumento […]”
Esatto. Imparare a filtrare le informazioni, leggerle tutte e non formarsi solo al titolo, capire chi le posta, valutarne la veridicità in base alle proprie conoscenze. Poi, magari, sarebbe il caso di porsi una domanda: ne voglio veramente parlare anche io? E se la risposta è si, allora forse sarebbe meglio che si approfondisca un pochini prima di prendere l’informazione come oro colato.
Umberto Eco propone due interessanti “possibili soluzioni” per cercare di affrontare questo problema. Il primo riguarda i giornali: “[…] ho cominciato a proporre che i giornali invece di raccontare tanti pettegolezzi […] dedichino 2 pagine ogni giorno all’analisi critica dei siti. […] Se il loro nemico è la rete, invece di continuare a fare il giornale perdendo copie [‘o imitando la rete’, interviene il magnifico rettore] battano la rete su quel punto lì… questo implica che però i giornalisti si preparino molto bene e siano [a dire il vero ha detto ‘sono’, nda] capaci a fare l’analisi critica dei siti… dire questo è una bufala, questo si e questo no […]“.
Il secondo, invece, riguarda gli insegnanti: “[…] un bravo insegnante dica agli studenti ‘questo è il tema, copiate liberamente da internet – perchè tanto copiano e saper copiare bene è una virtù – ma usate almeno 10 siti’ in modo che siano portati a paragonare tra loro i siti, accorgersi che ci sono delle contraddizioni e nasce un problema critico […]”. Il tutto poi riassunto in una ulteriore frase: “[…] devono essere da un lato i giornali che con specialisti diversi analizzano i siti e poi invogliare gli studenti a paragonare i siti, è l’unico modo.”
Ecco… forse non l’unico modo, ma senza dubbio uno dei modi migliori.
Già perchè quello che succede ora è proprio l’opposto: nessuno analizza le fonti, nessuno cerca di verificare l’informazione… l’importante è, magari, essere i primi a sparare una qualsiasi idiozia. Leggere con un occhio e spirito critico una notizia non appartiene più a nessuno. Non importa quanto la notizia possa essere vera, non importa se possa danneggiare qualcuno o anche nostro futuro o quello dei nostri figli. L’importante è far vedere che si “conosce” il problema, che si condivide tutto.
Questo, a onor del vero, non avviene solo su internet, avviene anche nel mondo dei media tradizionali (carta stampata e/o radio-televisione). Il problema è che tutti tendono a usare internet male e proprio perchè gli manca una conoscenza critica delle fonti (e dei meccanismi dietro la rete) si arriva a situazioni che sono, purtroppo, comiche… come quella (giustamente bollata come #epicfail) che qualche tempo fa è stata riportata da Massimo Melica all’interno di un suo post su Facebook, e che raccontava come durante la “maratona elettorale”, Enrico Mentana su LA7 avesse spacciato per “reale” un tweet di un profilo assolutamente fake di tale Rosy Bindi.
A questo punto a Umberto Eco viene posta una nuova domanda che, bene o male, gira sempre intorno allo stesso argomento e lui risponde: “il fenomeno Twitter che permette a certa gente in fondo di essere in contatto con gli altri, benchè abbia una natura leggermente onanistica ed esclude la gente da tanti contatti faccia a faccia, crea però da un lato un fenomeno anche positivo“. E come esmpi “positivi” Eco utilizza una simpatica serie di esempi come quello della Cina, delle recenti elezioni in Turchia e una veloce analisi delle teorie su cosa sarebbe potuto accadere se ai tempi di Hitler ci fosse stato Twitter. Poi riprende “ma d’altro canto fa si che da diritto di parola a legioni di imbecilli i quali prima parlavano solo al bar dopo due o tre bicchieri di rosso e quindi non danneggiavano la società […] e che invece adesso ha lo stesso diritto di parola di un premio Nobel e ecco il filtraggio… uno non sa se sta parlando un premio Nobel o… […]“.
Come dargli torto?
Ecco, magari al posto di “imbecilli” io avrei usato un altro termine perchè anche se solo in forma lieve, l’uso degli insulti può farti cadere dalla parte del torto. “Ignoranti“, “narcisisti“, “presuntuosi“, “montati“… persino “pericolosi” o “dannosi” sono parole che possono tranquillamente descrivere proprio quella figura che utilizza i Social Network per propinare le più incredibili idiozie cercando di spacciarle per vere.
Ma il concetto è, a mio parere, sacrosanto.
Grazie ai social abbiamo gente che crede di saperne più dei medici e condivide le più assurde soluzioni contro il cancro, non importa se scientificamente già sfatate (il metodo Di Bella) o persino pericolose (la dieta vegana che cura il cancro al posto della chemio o radio terapia). Abbiamo persone che si spacciano come scopritori di improbabili complotti (le scie chimiche), alcuni persino dannosi contro l’uomo (i vaccini che provocano l’autismo). E abbiamo anche coloro che sono in grado di mostrare una realtà inventata e alternativa pur di raggiungere un proprio scopo (spacciare la sperimentazione animale come vivisezione). Oppure permettono ad una ragazza qualunque di attaccare su Facebook Samantha Cristoforetti rea, forse, di aver avuto una grande passione di averla coltivata studiando per anni sino a raggiungere il proprio sogno con immensa fatica… insomma, quello che dovrebbero cercare di fare tutti.
E di altri esempi ce ne sarebbero a quintali… ma mi fermo qui per non esagerare.
Ma ovunque la si voglia vedere… è vero. Eco non ha detto nulla che minasse la libertà di parolo o la libertà di esprimere il proprio pensiero come molti probabilmente senza nemmeno ascoltare il suo intero discorso hanno voiluto immaginare.
Ha solo detto che grazie a questi strumenti anche gli “scemi del villaggio” che prima avevano una visibilità più che limitata in certi ambienti, ora possono atteggiarsi come dei premi Nobel in maniera molto più aperta e globale.
Oltretutto molti di coloro che hanno commentato in modo negativo la frase di Eco non sanno che il pensiero di Eco sui social non è certo una novità. Risale infatti a oltre 2 anni fa un articolo dove spiega come il dare spazio alle bugie o alle false verità sui social possa portare, in extremis, al non credere più allo strumento, discorso che ha comunque poi anche portato avanti all’interno dell’incontro di Torino. Nell’articolo, disponibile qui, racconta anche la vicenda di una famosa lettera di Pierpaolo Pasolini che giunse al Corriere della Sera e che fu publicata perchè nessuno sapeva che si trattava di un falso. Questa storia avrebbe dovuto sottolineare il rischio di raccontare frottole e alla fine non essere più creduto.
Sotto certi aspetti è ovvio che la speranza è che questo non accada in rete, ma che a pagare le conseguenze di questa tendenza al raccontiamo bugie, inventiamoci notizie, propagandiamo bufale siano tutte quelle persone e quei siti che pur di attrarre qualche click e qualche soldino in più sono disposti a mettere in pericolo il nostro futuro e quello dei nostri figli.
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